Il governo e la popolazione dell’ultima colonia africana, vittima dell’occupazione del Marocco dal 1975, mantengono la loro esigenza essenziale di sovranità, però, di fronte alla postergazione della stessa, hanno reiterato la loro disponibilità di ritornare alle armi che hanno abbandonato nel 1991 tramite un armistizio dell’ONU.
Sotto la direzione del loro braccio politico e armato, il Fronte Popolare di Liberazione di Saguia, el Harma e del Rio de Oro (Fronte Polisario), il popolo saharawi ha cominciato l’anno con la riattivazione della loro attività diplomatica nell’organismo mondiale e negli altri come quello dell’Unione Africana (UA), blocco che questo gennaio prevede una riunione per trattare il tema.
Ambedue gli enti rappresentativi della RASD difendono da tempo nei detti scenari la loro esigenza rispetto alla convocazione di un referendum d’autodeterminazione, un impegno assunto dall’ONU nel 1991, dopo aver conseguito un cessate il fuoco nella guerra dei sei anni tra i popoli saharawi e l’occupante marocchino.
Il popolo del Sahara Occidentale affronta anche sistematici atti di repressione da parte dei corpi militari invasori, sempre nelle condizioni di disuguaglianza dato il potere militare di Rabat e la sua presenza imposta nella regione.
STRATEGIE SAHARAWI DI FRONTE ALL’OCCUPANTE
La RASD, con la direzione del suo Governo e del suo Partito, usa attualmente nella sua lotta contro Rabat, diverse strategie che accompagnano la citata offensiva diplomatica, cioè le manifestazioni pacifiche e gli scioperi della fame dei suoi prigionieri politici nei carceri marocchini, perfino le avvertenze rispetto al menzionato ritorno alla lotta armata.
Recentemente tre indipendentisti prigionieri nel cosiddetto Carcere Nero, Ali Saadouni, Nouradin Elargoibi e Khaliehna Elfak, hanno annunciato un nuovo digiuno a causa della sistematica mancanza di esecuzione da parte dell’ONU per quanto riguarda il referendum e contro l’atteggiamento irrispettoso marocchino nei confronti dei loro diritti fondamentali.
La decisione dei saharawi incarcerati è stata fatta conoscere dopo un’informazione divulgata alla fine dell’anno dall’Ufficio dell’Intelligenza e di Ricerca del Dipartimento di Stato, in cui Washington ignora la sovranità del Marocco rispetto al Sahara Occidentale, riconosce che non esiste “nessun potere amministrativo su questo territorio” e ricorda che questo status è ancora “da determinare”.
L’annuncio statunitense, contenuto in un elenco ufficiale sugli enclavi coloniali nel mondo, anche se senza sottolineare una posizione chiara rispetto al diritto saharawi all’indipendenza, rinforza la tendenza mondiale contro le false rivendicazioni del Marocco nei confronti delle zone occupate.
IL BLOCCO AFRICANO DIVENTA UNO SCENARIO VITALE
La riunione in gennaio della Commissione dell’UA inizierà in questo evento un periodo di dibattito sahariano in due sensi, il primo tramite una sorte di rinforzamento della sua presenza politica in questo ente previsto dai leader della RASD, e il secondo dal dibattito che si avvicina di fronte alla pretensione marocchina di ritornare ad essere parte dell’organismo.
Giacché Rabat ha abbandonato il blocco per volontà propria nel 1984 come rappresaglia per l’entrata saharawi nel 1982, il ritorno al suo seggio nell’organismo, proposto tramite una lettera durante la riunione del luglio scorso in Ruanda, anche se fuori dal contesto protocollare, creerà un litigio inevitabile tra le due parti.
Già d’allora si è disegnato il referendum diplomatico bilaterale, a causa del vecchio progetto marocchino di espellere la RASD dall’organismo, che questa volta Rabat ha appoggiato con un forte lobby a Kigali, insieme a diversi paesi alleati del Marocco per il suo protagonismo finanziario regionale e contro gli altri fedeli ad Al Aiun.
Però ora l’organizzazione africana avrà l’obbligo di partecipare in questa questione e dirimere come poter andare d’accordo con l’uno e con l’altro (o con uno solo di loro), anche se si scarta qualsiasi resistenza dei paesi membri perché Marocco diventi di nuovo il 55º stato dell’UA.
La mela della discordia dovrà essere, secondo gli analisti politici ed i mezzi della stampa, che posizione assumerà l’organismo rispetto al tema del referendum, difeso dalla RASD e rifiutato dal Marocco, i cui governanti non abbandonano i loro tentativi di annessione del Sahara Occidentale.
Per gli studiosi, il contenzioso diplomatico si aggrava di fronte all’imminenza della scadenza della Missione dell’ONU per il Referendum il prossimo 30 aprile e non si sa se si rinnoverà, ed il dato si conoscerà nell’UA.
Alcuni affermano che “il futuro del Sahara Occidentale dipenderà da questa organizzazione”, altri speculano dicendo che “ il 2017 sarà un anno importante per questo conflitto”.
Marocco in marzo scorso ha mandato fuori i membri civili di questo meccanismo dell’ONU e dopo li ha ammessi di nuovo, però il fatto ha creato una specie di duello diplomatico nel seno dell’organismo mondiale e ha peggiorato la crisi tra ambedue i contendenti.
ANTECEDENTI DEL PEGGIORAMENTO DEL CONFLITTO
Il clima politico militare è arrivato al suo peggiore momento in15 anni nella RASD con la dichiarazione di massima allerta per le sue truppe nazionali, solo pochi giorni dopo al 27 febbraio scorso, quando celebravano i loro 40 anni d’esistenza.
I mezzi diplomatici e della stampa hanno coinciso sul fatto che questa reazione preventiva annunciata il 21 marzo è stata la più drastica assunta dai loro leader dalla guerra indipendentista finita nel 1991, insieme alla promessa dell’ONU sul referendum, meccanismo boicottato da Rabat fin d’allora con il consenso di grandi potenze come Francia.
I dirigenti della RASD hanno appoggiato d’allora, tramite dette vie diplomatiche, la lotta armata intrapresa dai loro combattenti, diretti dal Fronte Polisario, dalla sua fondazione nel 1973.
Durante quei giorni di febbraio-marzo è stata crescente la scalata di dichiarazioni saharawi contro Marocco, che è intervenuto nel Sahara Occidentale subito dopo il ritiro della Spagna nel 1975.
L’Esercito di Liberazione Popolare Saharawi (ELPS) ha decretato un’emergenza militare coerente con le dichiarazioni dei dirigenti saharawi nel suo 40º anniversario, che hanno ratificato le posizioni di un anno fa di optare per la forza, se persiste la presenza marocchina.
“La pazienza del popolo è stata grande, però sta per esaurirsi”, ha dichiarato a L’Avana a Prensa Latina, Omar Mansur, Ministro della RASD per America Latina ed i Caraibi.
L’attuale crisi tra le due parti è scoppiata in quei giorni data la postura intransigente del Marocco, questa volta contro l’atteggiamento favorevole al referendum da parte dell’allora Segretario Generale dell’ONU, Ban Kimoon.
È bastato che il leader internazionale pronunciasse davanti alla stampa la parola “occupazione” facendo riferimento al territorio saharawi perché Rabat rispondesse con quella di “inaccettabile”, cancellasse il suo contributo alla Missione per il referendum e ordinasse il ritiro degli 84 integranti civili internazionali da quest’istanza.
I dirigenti della RASD si sono allarmati di fronte a quello che si avvicinava come una scalata anti-referendum, che persiste oggi e il cui antecedente più immediato è stato il ritiro nel 2012 da parte di Rabat della sua fiducia nei confronti del rappresentante del Segretario Generale nella regione, Christopher Ross.
Ban Ki-moon ha riconosciuto la sofferenza e la mancanza di speranza causate dalla dominazione straniera e la mancanza di progressi rispetto ad una soluzione politica, mentre l’alto mando del ELPS annunciava delle manovre e degli esercizi militari per “elevare la preparazione e la capacità di combattimento saharawi di fronte a tutti i tipi di minacce ed eventualità”.
Oltre la RASD, le colonie od i territori non autonomi nel mondo sono i britannici come l’isola di Anguilla, le isole Bermuda, le isole Cayman, le isole Malvine, le isole Turks e Caicos, le isole Vergini Britanniche, l’isola di Montserrat, l’isola di Sant’Elena, Gibilterra e le isole Pitcairn; gli statunitensi come le isole Vergini degli Stati Uniti, l’isola di Guam e le isole Samoa orientali; i francesi come le isole della Nuova Caledonia; ed il neozelandese come le isole di Tokelau.
Antonio Paneque Brizuela, giornalista della Redazione Africa e Medio Oriente di Prensa Latina