Ancora con i segni psicologici e fisici di mesi di intensi rodaggi è arrivato a questa capitale per promuovere l’esordio uruguaiano giovedì prossimo del lungometraggio di fiction “La noche de 12 años”, che è stato presentato recentemente nel Festival di Venezia, con la presenza dell’ex presidente Josè Mujica, uno dei protagonisti della storia reale.
Il regista Alvaro Brechner ha adattato per gli schermi il libro testimoniale nel quale Mauricio Rosencof ed Eleuterio Fernandez Hudrobo raccontano dell’aspro confino vissuto nella prigione di Punta Carreta durante la dittatura militare.
L’attore argentino Chino Darin, che in realtà si chiama Ricardo, come il suo famoso progenitore, ha confessato nel corso di un’intervista concessa alla televisione che non conosceva quasi nulla di quella dittatura, la lotta dei tupamaros e del prigioniero Mujica, anche perché non aveva a che vedere con la realtà generazionale dell’attore.
Racconta che, una volta che l’hanno scelto per l’elenco degli attori, ha intrapreso un processo di interiorizzazione degli avvenimenti e per mettersi nei panni di Rosencof, più conosciuto nel mondo della clandestinità come “il Russo”.
Il principale inconveniente è stata l’inesistenza di video di quando il Russo era giovane, per ciò ha dovuto costruire il suo proprio “russo” in settimane di convivenza con l’originale.
“Non ho mai lavorato in qualcosa di tanto esigente e forte”, sottolinea, dettagliando le scene intense, la maggioranza filmate in una soffocante solitudine, alcune ripetute fino a 20 volte, dalle quali usciva molto angosciato, in un set che riproduceva l’ambito carcerario.
Se neanche Mujica ha voluto vedere “La noche de 12 años” nella presentazione a Venezia, perché, ha dichiarato, gli portava ricordi troppo tristi, per Chino Darin, ha rappresentato, psicologicamente, dopo le riprese, un anno duro, dove è stato colpito emotivamente dalle situazioni tanto difficili che hanno vissuto a Punta Carreta i veri protagonisti.
Ig/hr