domenica 24 Novembre 2024
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Risarcimenti per la schiavitù, la giusta lotta dei paesi caraibici

Nonostante la tratta degli schiavi sia stata abolita nel XIX secolo, l’eredità di questa tratta brutale continua ad ostacolare lo sviluppo dei paesi caraibici, ancora oggi in lotta per ottenere un risarcimento per i danni causati.

Dal lancio della Commissione per le Riparazioni della Comunità Caraibica (CRC) nel luglio del 2013, la richiesta globale di riparazioni per le nazioni più duramente colpite da questo flagello è stata rivitalizzata.

Secondo il presidente di questo organismo, la professoressa Hilary Beckles, le richieste di risarcimento diventeranno il più grande movimento di giustizia politica e storica del 21° secolo.

Sebbene le potenze colonizzatrici preferiscano guardare dall’altra parte quando si parla della questione, uno studio sulla quantificazione delle riparazioni per la schiavitù transatlantica (TCS) nelle Americhe e nei Caraibi ha stabilito che il danno totale stimato dalla tratta è compreso tra 100 e 131 trilioni (un milione di milioni) di dollari.

L’analisi pubblicata lo scorso giugno ha stabilito, ad esempio, che Regno Unito deve versare una somma di 24 miliardi di dollari a 14 paesi, mentre Spagna deve circa 17 miliardi.

Nonostante il fatto che gli Stati Uniti fossero una colonia britannica, l’analisi ha concluso che la nazione deve 26 miliardi di dollari per la tratta degli schiavi di cui si è beneficiata dal 1776 al 1865.

Francia deve circa 9 miliardi di dollari, mentre per i Paesi Bassi la stima è di circa 5 miliardi di dollari, di cui 3 miliardi dovrebbero essere versati al Suriname e circa 2 miliardi di dollari alla Guyana.

I calcoli per il rapporto sono stati effettuati da un gruppo di economisti statunitensi del Brattle Group, guidati da un team di avvocati, storici e studenti di storia.

Il rapporto raccomandava di richiedere che i pagamenti fossero effettuati in periodi che vanno da un decennio a 25 anni.

Gli stati europei descrivono la schiavitù come una tragedia spaventosa ed una barbarie abominevole, ma sono lungi dall’impegnarsi a risarcirne i danni.
Ciò è stato confermato nel vertice svoltosi lo scorso luglio a Bruxelles, in Belgio, tra la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) e l’Unione Europea, dove i membri del primo blocco hanno chiesto responsabilità al vecchio continente sulla questione.

Gli appelli sono stati guidati dal primo ministro di Saint Vincent e Grenadine, Ralph Gonsalves, il cui paese detiene la presidenza pro tempore della CELAC, e che ha sostenuto la “giustizia riparativa” dopo il genocidio dei nativi e la riduzione in schiavitù degli africani.

Non è stato possibile ottenere nulla di concreto e le vittime hanno raggiunto solo una dichiarazione di sincero rammarico per la tratta degli esseri umani.

Secondo l’ambasciatrice A. Missouri Sherman-Peter, osservatrice permanente di Caricom presso le Nazioni Unite, i Caraibi sono diventati l’epicentro dei crimini contro l’umanità causati dal traffico transatlantico.

I Caraibi furono essenzialmente il luogo in cui la sottomissione assunse la sua forma giuridica più estrema attraverso uno strumento noto come Codice degli Schiavi, istituito per la prima volta dagli inglesi alle Barbados e rapidamente diffuso in tutta l’area.

“L’eredità dell’istituzione sociale ed economica della schiavitù predomina soprattutto nei Caraibi”, ha stimato.

L’eredità di oltre 300 anni di schiavitù che grava sulla cultura e sulla coscienza popolare persiste come un feroce fattore debilitante nell’area, ha concluso.

Ivette Fernandez, giornalista della Redazione Internazionale di Prensa Latina

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