Tali armi sono l’approfondimento del libero commercio e l’integrazione del capitale multinazionale e transregionale; politiche di austerità fiscale, aggiustamento strutturale e militarizzazione della società, come risposta repressiva di contenimento del malessere cittadino; e spiegamento sistematico del chiamato “lawfare” come strategia di guerra ibrida -come lo spiegano Silvina Romano ed Arantxa Tirado – per forzare cambiamenti di governo e criminalizzare i dirigenti politici e sociali critichi del sistema dominante.
Così, lo confermano alcuni fatti recenti. In Messico, l’incontro dei capi di governo dell’Alleanza del Pacifico (AP) ha sottoscritto una dichiarazione congiunta con la presidenza pro-tempore del Mercosur, che ricade sul mandatario uruguaiano Tabarè Vazquez, nella quale ratificano l’intenzione di iniziare alcune negoziazioni per la firma di un accordo commerciale tra i due blocchi, in quello che hanno considerato “un chiaro segno che insieme spingiamo l’integrazione regionale ed il libero commercio.”
Questo avvicinamento in due iniziative che fino a due lustri fa mantenevano visioni antagonistiche, mentre la prima, l’AP, scommetteva su un’integrazione subordinata agli interessi degli Stati Uniti; e l’altra, il Mercosur, cercava di articolare una prospettiva molto più indipendente e centrata in interessi latinoamericano-particolarmente coi governi del PT in Brasile ed il Fronte per la Vittoria in Argentina -, deve intendersi nella cornice più ampia dello smontaggio dell’architettura dell’integrazione della Nostra America, come è rimasto in evidenza con l’uscita dei governi neoliberali dall’Unasur (Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Perù e Paraguay), annunciata nell’aprile scorso quando Bolivia ha assunto la presidenza dell’organismo.
Parallelamente, e dopo ricevere la benedizione del Fondo Monetario Internazionale al modello economico -che impone a base di decreti, aumenti assurdi delle tariffe dei servizi di base ed il pesante fardello di un nuovo indebitamento per 50 mila milioni di dollari -, il governo di Mauricio Macri in Argentina ha promulgato il decreto 683 di riforma alle forze armate, che permetterà la partecipazione dei corpi militari in azioni di sicurezza interna e lotta contro il terrorismo.
Una misura che è stata ripudiata dalle organizzazioni dei diritti umani come “Figli e Figlie per l’Identità e la Giustizia contro la Dimenticanza ed il Silenzio” che considera che questa decisione “ci retrodata ad epoche della dittatura perché è stata l’ultima volta che le forze armate intervennero nella sicurezza interna”; come per “ Abuelas de Plaza Mayo” che, in parole di Estela de Carlotto, “il decreto in questione suppone la nuova attualizzazione della dottrina del nemico interno”.
Davanti all’attuale ondata regressiva, il lascito dei governi progressisti corre il rischio di perdersi, se non c’è una risposta sociale organizzata e contundente.
I due casi che presentiamo hanno un punto di convergenza: ambedue evidenziano i meccanismi mediante i quali il mercato e le sue premesse ideologiche -quasi dogmi di fede per i suoi difensori – colonizzano un’altra volta le sfere del sociale e del politico, recuperando così spazi di potere e di influenza culturale che erano stati conquistati dal nuovo pensamento socialista, di accento nazionale-popolare, dalla prima decade del XXI secolo latinoamericano.
La concezione della democrazia come processo diverso, complesso e partecipativo di disputa culturale, per la costruzione dei sensi e delle orientazioni dell’organizzazione sociale, oltre che per la definizione delle forme e delle finalità dell’esercizio del potere, è stata un’idea centrale nelle dinamiche sociopolitiche che, a partire dall’assunzione di Hugo Chavez alla presidenza del Venezuela, nel 1999, hanno facilitato in America Latina un insieme di esperienze innovatrici di approfondimento della partecipazione politica e di esercizio del potere popolare, mediante diversi strumenti consultivi (referendum, plebisciti, revocatorie di mandato), come non si era mai fatto fino ad ora.
Questo lascito che trascende la discussione sui risultati economici dei chiamati governi progressisti, e che rappresenta un salto qualitativo nella forma di capire la democrazia e di partecipare in politica, è quello che si trova a rischio di perdersi nell’attuale onda regressiva, se non c’è una risposta sociale molto più organizzata e contundente, ci vorrà moltissimo tempo per uscirne, come già è accaduto col ciclo politico-militare-neoliberale che si è esteso in America Latina dopo il golpe di Stato perpetrato in Cile nel 1973.
Andres Mora Ramirez, docente e ricercatore dell’Istituto degli Studi Latinoamericani dell’Università Nazionale del Costa Rica- da Firmas Selectas di Prensa Latina