I dati, da fonti ufficiali e raccolti in Siria, dalla stessa Turchia e dai mezzi russi come Sputnik, tra gli altri, affermano che sono 673 i curdi caduti in combattimento, 64 componenti del chiamato Esercito Libero Siriano, appoggiato da Ankara, e cinque soldati turchi, senza dati su blindati od altri armamenti distrutti.
Inoltre, la forza aerea turca e la sua artiglieria hanno attaccato Ain Isa, Tel Abiad, Ras Al Ain, Qamishli e vicino al passo di Samalka, confinante con Iraq, con droni ed altri apparati provenienti dalla base statunitense di Incirlik e di quella di Diyarbalar.
Nessun mezzo di comunicazione cita la morte di civili ma sì danni seri nelle località menzionate, tutte ubicate nella provincia di Hasaka, un territorio siriano alla frontiera con Turchia con 23.334 chilometri quadrati ed una popolazione superiore al milione e mezzo di abitanti.
Previamente all’azione, denominata “Fonte di pace”, gli Stati Uniti hanno spostato i loro militari da sei basi nelle zone di combattimenti con le Forze Democratiche Siriane (FDS) ed i gruppi di autodifesa, integrati maggiormente da curdi e che fino a poche settimane erano riforniti ed appoggiati da Washington.
La situazione ed il chiaro svantaggio militare tra questi gruppi e le truppe turche, oltre alla mediazione della Russia ed alle negoziazioni per fermare le azioni, hanno provocato l’attuale posizione dei curdi, che hanno accettato che l’esercito siriano entrasse nelle località che controllano ancora e di ritirarsi a circa 35 chilometri al sud, dentro il territorio della provincia di Hasaka.
In questo senso, la presenza militare di Damasco nelle zone lavora con le FDS in una specie di “blocco” delle azioni e nel quale interviene la Polizia Militare russa, di mutuo accordo con Turchia e Siria.
Gli Stati Uniti, il cui presidente Donald Trump aveva annunciato la ritirata delle truppe, di nuovo hanno fatto retromarcia, il governante ha inviato di nuovo militari nelle quattro basi vicine alla frontiera con Iraq ed “ha promesso difendere” i campi di petrolio e di gas delle regioni siriane di Hasaka e Deir ez-Zor.
Poche fonti, ad eccezione soprattutto di quelle siriane, menzionano che ancora Turchia mantiene nel nord della vicina provincia di Aleppo ad oltre 10 mila militari, inclusi 300 poliziotti ed una cifra superiore a 700 tra blindati, carri armati e veicoli di artiglieria, in un’area di più di 6000 chilometri quadrati.
La situazione, altamente complessa ed oggetto di negoziazioni giornaliere per evitare l’aumento della violenza, lascia scoperta la chiamata autonomia curda nel nord siriano di Rojava e che secondo un reportage della catena televisiva tedesca Deutsche Welle, ha sofferto almeno più di 11 mila morti e più di 20 mila feriti in battaglie anteriori con l’Isis e le truppe turche.
Il reportage della rete televisiva tedesca, intitolato “Distruzione apocalittica”, realizzato tra gli anni 2014 e 2015, è stato aggiornato nel 2017 ed è, per il mondo occidentale che tenta di allontanarsi dalle azioni degli Stati Uniti, un antecedente della realtà attuale.
Per analisti ed esperti del tema, l’inquietante veridicità di quello che succede alla luce di concetti perturbatori emessi dai centri di potere occidentali, non ha una soluzione militare e solamente si possono attenuare o limitare i suoi effetti, attraverso negoziazioni, perché quello che deve succedere, con sensatezza, è che la politica si metta al livello della realtà.
Pedro Garcia Hernandez, corrispondente di Prensa Latina in Siria