venerdì 26 Luglio 2024
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L’integrazione latinoamericana non è sconfitta: Atilio Boron

La capitale dominicana ha accolto per tre giorni il Seminario Internazionale “Realtà, Paradigmi e sfide dell'Integrazione” che ha contato con la presenza di importanti personalità latinoamericane che hanno fatto importanti apporti all'evento. 

 
Uno di loro, il politologo argentino Atilio Boron, ha concesso un’intervista esclusiva con Prensa Latina per fare una valutazione del seminario realizzato dal 19 al 21 febbraio, ma soprattutto conversare sulla situazione in cui si trova l’integrazione regionale. 
 
Si è dimostrato contento del seminario effettuato in Santo Domingo, del quale ha detto “è stato una gran contribuzione al tema; io ho imparato molto, ci sono state conferenze di qualità, abili, precise e non c’è stata retorica, anzi è stata un’analisi dove si è dimostrata la crudeltà della dominazione neoliberale e le stragi dell’imperialismo”. 
 
Rapidamente c’addentriamo nel tema che è il centro della nostra attenzione principale, tenendo in conto quanto detto da Boron, cioè che “l’integrazione è indebolita ma non sconfitta”. 
 
L’integrazione latinoamericana si sente oggi indebolita, ma senza ombra di sconfitta e più presto che tardi avanzeremo per consolidarla, ha sottolineato. 
 
Ha fatto allusione ai momenti difficili nella regione, dal momento che “abbiamo ancora più governi che hanno manifestato la loro vocazione di essere soci, servitori dell’impero come il caso dell’Argentina, del Paraguay, del Brasile e Perù”. Il caso del Cile è già conosciuto in questo ruolo, ha precisato. 
 
Per il riconosciuto professore universitario, debilitandosi il blocco di centro-sinistra e sinistra, costituito dal finale del secolo scorso, che è cominciato col trionfo dello scomparso leader Hugo Chavez in Venezuela, “l’impulso dell’integrazione ha perso la sua forza”. 
 
È un momento nel quale le forze di sinistra sono sulla difensiva, ma non sconfitte, ha ripetuto ed ha fatto riferimento al caso argentino che, nonostante il programma macabro del presidente Mauricio Macri, ed i suoi desideri di retrocedere, ha incontrato molti ostacoli e non sarà facile rompere la resistenza esistente. 
 
Ha menzionato il caso dell’Ecuador, che -ha detto -, dobbiamo riconoscerlo in senso positivo, come la sua opposizione al veto della partecipazione del Venezuela nel Vertice delle Americhe, la firma di un accordo in sospeso con Cuba in materia scientifica ed educativa. Come vediamo, “non tutto è perduto”. 
 
Davanti a queste realtà ed al momento difficile che sta passando in Venezuela, l’analista ha vaticinato che succederanno “fatti interessanti nel continente”. 
 
Ha sottolineato quanto sarà difficile se rubano per la seconda volta il trionfo ad Andres Manuel Lopez Obrador in Messico. “È un uomo di idee molto avanzate, che una volta al Governo svilupperebbe una politica favorevole all’integrazione con America Latina”. 
 
Sulle elezioni in Brasile, ha ammesso che sarà complicato che Luiz Inacio Lula da Silva possa presentarsi. “La giustizia brasiliana può avvalersi di un atto di suprema ingiustizia e condannarlo”, ha affermato Boron, che dubita su una vittoria della destra, perché “non ha candidati presentabili, mentre nel campo popolare esistono alcune alternative”. 
 
In Colombia, ha osservato, esiste una situazione inedita ed un fronte di una sinistra moderata con condizioni per lottare per la presidenza. 
 
“Guardando tutto in prospettiva, uno ha ragione per conservare un certo ottimismo, perché inoltre non abbiamo nella nostra area una destra rampante, sicura di sé stessa ed efficiente, bensì assolutamente impresentabile”, ha sottolineato l’argentino. 
 
Ed ha aggiunto che dà per scontata la vittoria elettorale del presidente del Venezuela, Nicolas Maduro; “sarà confermato perché non ha rivali concreti, benché si presenti Azione Democratica, ed ha dimostrato di essere un buon pilota nelle tormente”. 
 
Alla domanda sugli Stati Uniti e la loro strategia in momenti come questi, rapidamente segnala: “Loro sono disperati per ritornare al 31 dicembre 1958…, il governo nordamericano è convinto che la Rivoluzione cubana ha aperto una parentesi dove si sono prodotti avvenimenti indesiderabili per il loro paese”. 
 
“Gli yankee non avrebbero mai potuto pensare, per esempio, ad un Cile con Salvador Allende, un Panama con Omar Torrijos, un Perù con Juan Velazco Alvarado o una Bolivia con Juan Josè Torres; non volevano niente di tutto ciò, allora pensano adesso che è arrivato il momento di chiudere questa parentesi”, ha detto. 
 
“Ma questa tesi di vedere la Rivoluzione come una parentesi è qualcosa di aberrante nella storia dell’emisfero occidentale”, ha condannato; “su questo si sbagliano, questa parentesi non si chiuderà mai perché i cambiamenti successi nella coscienza del popolo latinoamericano sono irreversibili”. 
 
Ha spiegato che nel suo paese natale prima parlavano dell’America Latina e non sapevano a che cosa si riferivano, perché sempre facevano riferimento all’Europa, mentre oggi “la coscienza latino americanista in Argentina è impressionante”. 
 
Tuttavia, ha precisato, ora ci rimane da osservare come evolve o compie un’involuzione il governo del presidente Donald Trump, che cosa farà, come si svilupperà perché ha un cammino molto difficile davanti a sé. 
 
“C’è gente che esige l’impeachment, altre persone vogliono che si discuta la sua capacità intellettuale e morale”. 
 
In ogni modo, afferma Boron, “sia chi sia quello che sta nella Casa Bianca, è l’Imperatore e non vuole che siamo indipendenti, che c’emancipiamo dalla sua tutela, che esercitiamo la sovranità come nazioni libere ed indipendenti”. 
 
Infine, ha insistito sulla necessità di studiare e conoscere bene gli Stati Uniti ed il loro governo. 
 
Al rispetto, ha raccontato le sue varie conversazioni col leader della Rivoluzione cubana, Fidel Castro, ed ha ricordato come insisteva sull’importanza di studiare gli USA. 
 
Fidel mi disse sempre, confessa l’intellettuale, che uno dei problemi della sinistra latinoamericana è l’ignoranza sull’impero e ricordava come esempio l’apostolo cubano, Josè Martì, che ha sempre allertato sulla necessità di studiare a fondo questa società imperialista. 
 
 
Edilberto F. Mendez, corrispondente di Prensa Latina nella Repubblica Dominicana 
 

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