Sotto l’argomento che il governo del paese arabo ha utilizzato armi chimiche contro la sua popolazione nella Ghouta Orientale, il Pentagono è nell’obbligo di presentare varie opzioni sul tavolo del presidente Donald Trump, immerso in una vera battaglia di scandali e rinunce di alti funzionari relazionati con la politica estera e di sicurezza.
I messaggi in twitter aggressivi di Trump che annunciavano un attacco di missili imminente contrasta con criteri anteriori del magnate prima di occupare l’incarico, quando segnalava al suo predecessore, Barack Obama, che non si doveva comunicare in anticipo la strategia da usare contro l’avversario.
Con John Bolton come nuovo assessore di sicurezza nazionale, che tutti qualificano come un falco; e Mike Pompeo sotto il fuoco dei senatori nel suo processo di conferma come sottosegretario, Trump intraprende questa avventura bellica con una squadra di consulenti, da cui, quasi ogni giorno sorge un nuovo scandalo, una rinuncia o un licenziamento.
Dall’udienza nel Comitato di Relazioni Estere della Camera alta, Pompeo ha lasciato chiaro che con lui nella direzione della diplomazia statunitense, non ci sarebbe spazio per debolezze con Siria né con Russia.
Ha aggiunto che le autorità di Damasco costituiscono una minaccia ogni volta maggiore per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e la stabilità nel Medio Oriente, e per questo ci sarà una risposta severa.
Tuttavia, il segretario di Difesa, James Mattis, -un generale ritirato – in una riunione a porte chiuse ieri nella Casa Bianca, ha chiesto cautela ed ha cercato di decelerare il processo di presa di decisioni per un’azione bellica contro Siria.
Come segnala questo venerdì il quotidiano The New York Times nell’incontro Mattis ha riflettuto le crescenti preoccupazioni che un colpo di questo tipo potrebbe portare ad un confronto di maggiore importanza con Russia ed Iran ed ha fatto notare la necessità di cercare ancora più evidenze del supposto ruolo del presidente Bashar Al Assad nell’ipotesi di attacchi chimici.
Nonostante questo appello alla calma, alcuni esperti segnalano che esistono indizi che sarà molto difficile cambiare l’intenzione di Trump di bombardare i siriani, dopo i reiterati annunci del governante sul tema.
Nel piano internazionale, i principali alleati di Washington sembrano essere d’accordo col capo della Casa Bianca, in momenti in cui il governo britannico assicura che è “altamente probabile” che le autorità siriane sono state le responsabili del supposto lancio di armi tossiche.
Qualcosa di simile succede con Francia, un altro elemento chiave in un’eventuale campagna bellica per distruggere obiettivi civili e militari in detta nazione araba ed il cui presidente, Emmanuel Macron, ha confermato che lavora strettamente con gli Stati Uniti per prendere una decisione.
In questo contesto, il gruppo di attacco della portaerei USS Harry S. Truman (CVN-75) è partito recentemente dalla stazione navale di Norfolk, in Virginia, verso il Medio Oriente, carica di missili guidati USS Normandy e vari missili distruttori di razzi.
Questo gruppo del CVN-75 lo conformano più di 6500 marinai, oltre a più di un centinaio di aeroplani ed elicotteri.
Pubblicazioni specializzate statunitensi hanno assicurato martedì che Washington ha varie navi armate con missili nella regione, tra questi il distruttore USS Donald Cook.
Allo stesso tempo l’amministrazione Trump consulta coi suoi principali alleati nel Medio Oriente e prepara le sue forze e mezzi di base -in particolari aeroplani cacciabombardieri ed intercettori – per un’eventuale contesa che, secondo specialisti, sarebbe molto maggiore del colpo eseguito il 6 aprile 2017.
In quell’occasione due navi dell’Armata statunitense spiegate nel mare Mediterraneo hanno lanciato 59 missili crociera Tomahawk contro una base aerea in Siria, e secondo alcune fonti specializzate una parte non hanno raggiunto il loro obiettivo perché sono stati intercettati da sistemi antiaerei in territorio siriano.
In qualche modo alcuni esperti assicurano che esistono evidenze che il presidente Trump ha già preso la decisione di lanciare un attacco missilistico contro Siria, ma quello che discute ora col comando militare nordamericano e gli alleati di Washington è quando si porterà a termine e quale sarebbe il ruolo di ogni governo in questa avventura bellica.
Roberto Garcia Hernandez, giornalista Prensa Latina