Citato sul caso dai giudici di Parigi, l’ex Ministro degli Affari Esteri francese, Laurent Fabius ha negato di essere a conoscere dell’accordo di 13 milioni di dollari, affinché il cementificio di Jabaliya, a 87 chilometri da Raqqa- chiamata allora la “capitale” dello Stato Islamico, Daesh – continuasse a funzionare.
Lo scandalo, trapelato negli ultimi due anni su numerosi organi d’informazione, riemerge per le indagini della giustizia francese sulla multinazionale proprietaria, dal 2010 con un costo di circa 700 milioni di dollari, dell’impianto di Jabaliya.
Da allora, diverse ONG e media ufficiali, siriani e russi, hanno denunciato che “i contratti” beneficiavano soprattutto lo Stato Islamico, che all’epoca occupava grandi giacimenti di fosfati e inerti essenziali per il settore della costruzione.
Per qualsiasi analista, le smentite di Fabius non sono prive di credibilità, cercano di raggirare la realtà e manipolare i fatti, emersi con difficoltà e denunciati con insistenza alla stampa da parte delle istituzioni internazionali come Sherpa.
Sherpa è un’associazione di giuristi internazionali e combatte le pratiche delle multinazionali, responsabili, nell’ambito degli investimenti esteri, della violazione dei diritti umani e di reati ambientali.
Secondo i rapporti dell’associazione, noti in Francia e internazionalmente, ci sono “prove serie e coerenti” che Lafarge “sia complice di crimini contro l’umanità” per “il finanziamento alle organizzazioni terroristiche”.
La Sherpa afferma che ci sono otto ex dirigenti della società colpevoli, tra cui Bruno Lafont, presidente e amministratore delegato dal 2007 al 2015, che aveva dichiarato di non conoscere il contratto fino al 2014. Versione che smentisce quella del suo vice dell’epoca, che ha dichiarato ai giudici di aver avvisato sufficientemente Lafont.
Jean Claude Veillard, allora responsabile della sicurezza di Lafarge, aveva trasmesso agli Stati Uniti le coordinate GPS della fabbrica nel territorio occupato da gruppi terroristici, affinché non fosse attaccata.
L’allora ambasciatore francese in Siria (rientrato a Parigi, dopo la rottura delle relazioni diplomatiche voluta dal presidente Francois Hollande), Frank Gellet, in un’e-mail ai suoi superiori, definiva “legittima” la richiesta agli Stati Uniti, il che rende molto difficile che Fabius non sapesse nulla.
Veillard, inoltre, assicura che era in contatto permanente con i servizi segreti francesi: la DGSE (Sicurezza esterna), il DGSI (Sicurezza interna) e DRM (Sicurezza militare). Per Fabius, evidentemente, sarà difficile uscire pulito dallo scandalo.
Ci sono anche ulteriori dati, perché l’intermediario tra la Lafarge ed i vari gruppi terroristici era FirasTlass, figlio dell’ex ministro siriano della Difesa MustafaTlass (deceduto a Parigi), e fratello dell’ex generale ManafTlass, che, nel 2012, aveva lasciato la Siria grazie all’aiuto dei servizi segreti francesi.
Allo scandalo si aggiunge anche un altro elemento. Nel mezzo di feroci sanzioni e della guerra imposta alla Siria, la Lafarge è nella lista dei finanziatori della Fondazione Clinton, donando anche 100mila dollari per la campagna di Hillary nel 2015.
L’allora candidata presidenziale del Partito Democratico statunitense, era stata nella direzione della multinazionale, prima produttrice al mondo di cemento, calcestruzzo, inerti e gesso, presenti in abbondanza nel territorio siriano in cui si trovava l’impianto di Jabaliya.
Pedro Garcia Hernandez, corrispondente di Prensa Latina in Siria