Proprio quando le relazioni bilaterali sembravano migliorare, dopo l’accordo migratorio del 7 giugno ed un avanzamento notevole nei compromessi del Messico nel frenare l’esodo migratorio, con i complimenti perfino di Trump, appaiono come estratte dalla manica le retate e di seguito le nuove regole migratorie di Trump.
Le prime sono state rapidamente scongiurate dai messicani che sono stati separati in buona misura dalla persecuzione che si è accanita contro i centroamericani in un ambiente di agonia e terrore, ma le nuove misure hanno ravvivato con forza il pericoloso, controverso e spinoso tema del “terzo paese sicuro”.
Per l’opposizione politica messicana, e perfino per alcuni settori discrepanti dentro il partito del presidente eletto, le regole migratorie di Trump costituiscono un opportunismo malintenzionato che accantona il governo di Andres Manuel Lopez Obrador, obbligandolo a continue concessioni al paese vicino.
Nonostante quanto ottenuto con lo spiegamento nelle frontiere della Guardia Nazionale ed un discusso rafforzamento dei requisiti migratori per entrare in Messico, Trump persiste nella sua idea che il governo di Lopez Obrador debba accettare di trasformarsi in un “terzo paese sicuro” per liberare la Casa Bianca dalle pressioni del sollecito di asilo che tanto disturbano il suo xenofobo presidente.
“Terzo paese sicuro” ha un significato tanto peculiare che eccedono le dita di una mano per contare le nazioni che l’hanno accettato, uno di queste è Canada, l’unico che ha fatto questo favore agli Stati Uniti.
Il concetto esprime un’eccezione alla Convenzione sullo Statuto dei Rifugiati, che si applica ai paesi nei quali questi possono godere asilo senza nessun pericolo, perché non possono essere rimpatriati né discriminati. Bisogna dar loro lavoro, cibo, alloggio e cure sanitarie.
Ma questo non è quello che interessa a Trump. La cosa importante è che i richiedenti di asilo negli Stati Uniti possano essere restituiti ai paesi dove l’avrebbero potuto ottenere, cioè, in Messico.
È come la legge dell’imbuto: gli Stati Uniti buttano fuori dal loro territorio gli emigranti che non convengono -in retate o come sia – e li ritorna in Messico che, come terzo paese sicuro dove avrebbero potuto sollecitare il loro primo asilo, non possa restituirli negli USA. Inoltre, deve garantire anche il loro diritto alla riunificazione familiare.
C’è un problema legale che colpisce il desiderio di Trump e favorisce Messico, ed è che affinché si riconosca lo status di terzo paese sicuro è necessaria la firma di un accordo tra i due governi interessati, ed è proprio quello che non ha accettato Messico il mese scorso, nonostante le pressioni statunitensi di porre forti dazi sulle importazioni messicane, se non si frenava la migrazione.
In altre parole: è come se esistesse un accordo formale che nega il diritto al processo di asilo negli Stati Uniti a cittadini che sono transitati per il Messico col quale, ovviamente, Trump viola sfacciatamente il diritto delle persone a sollecitare rifugio nel paese nel quale si sentono sicuri.
Luis Manuel Arce Isaac, corrispondente di Prensa Latina in Messico