martedì 3 Dicembre 2024
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L’intrico turco-statunitense nel nord di Siria

Siria difenderà ogni pollice del suo territorio in caso di qualunque aggressione della Turchia, ha detto l’8 ottobre il viceministro degli Esteri, Faisal Mekdad. 

 
Nella prima reazione del governo di Damasco davanti alle intenzioni di Ankara di lanciare un’operazione militare nel nordest di questa nazione araba, Mekdad ha sottolineato che “difenderemo il nostro territorio e non accetteremo l’occupazione di nessuno nel suolo siriano”, secondo il quotidiano Al-Watan. 
 
Nelle sue dichiarazioni a questa pubblicazione sul destino dell’auto-proclamata milizia Forze Democratiche della Siria (FDS), il diplomatico siriano ha detto che “chi obbedisce al nemico sarà respinto dal suo popolo e dallo stesso nemico che ha appoggiato”. 
 
“Chi vende il suo paese, il suo popolo lo tratterà come traditore ed alla fine il suo patrocinatore straniero lo disprezzerà ed abbandonerà”, ha sentenziato. 
 
Il vice cancelliere siriano ha fatto un appello alle milizie armate nella zona orientale dell’Eufrate per risolvere tutti i problemi col dialogo e senza violenza, e rispettando la sovranità ed integrità territoriale del paese. 
 
Tutto ciò succede da quando gli Stati Uniti hanno spostato illegalmente truppe in zone occupate della provincia siriana di Hasaka, però mantengono basi vicino a Kobane e Manbij, mentre l’offensiva turca contro le chiamate Forze Democratiche Siriane (FDS) è iniziata molto lontano da queste zone. 
 
Nelle ultime ore, Ankara entra nell’intreccio con Washington, i cui massimi rappresentanti emettono dichiarazioni fuori dal contesto nei mezzi occidentali, perché reiterano mezze verità, come il fatto che militari di questi due paesi sono illegalmente in territorio siriano dal 2016 in appoggio o contro le FDS, integrate maggiormente da curdi. 
 
Sia il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, come il suo omologo statunitense, Donald Trump, hanno annunciato “ritirate”, ma quest’ultimo ha insistito sul fatto che le truppe di questa nazione devono stare attenti a non importunare le truppe degli Stati Uniti. 
 
L’azione turca contro le FDS si limita fino ad ora ad un bombardamento contro un convoglio e posizioni delle FDS e le denominate Forze di Autodifesa Curde (YPG), a Samalka, una località siriana vicina alla frontiera con Iraq e punto di fornitura degli Stati Uniti, dove introducono armi ed uomini in appoggio a questi gruppi menzionati. 
 
Dall’altro lato del territorio siriano illegalmente occupato, nel nord della provincia di Aleppo, Turchia mantiene circa 10 mila uomini, più di due centinaia di veicoli, rinforzati ora con carri armati e mezzi bellici blindati in un’area di più di 6000 chilometri quadrati e giusto nei limiti della zona che i curdi denominano Rojava, una presunta regione amministrativa autonoma dalla fine del 2014, sempre respinta da Damasco. 
 
I momenti attuali che rappresentano una pericolosa ed imprevedibile scalata di violenza, hanno provocato reazioni immediate dei dirigenti curdi come Badran Jiakurd, assessore di questa zona, che ha parlato dell’importanza “di mantenere un dialogo serio con Damasco e che saranno sempre aperti per ottenere questo obiettivo. Russia potrebbe svolgere un ruolo in questo senso”. 
 
La questione è che questi gruppi curdi si mantengono risolutamente a favore della loro autonomia che, secondo il governo siriano, non contribuisce ad un dialogo reale e facilita le azioni dei nemici di Siria per smembrare questa nazione del Levante. 

Fady Marouf e Pedro Garcia Hernandez, corrispondenti di Prensa Latina in Siria
 

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