venerdì 26 Luglio 2024
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Un anno convulso in America Latina

Sviluppi e retrocessioni a livello politico ed istituzionale si sono registrate nel 2019 in America latina, dove se le elezioni in Argentina hanno costituito una speranza per le forze progressiste; il golpe di Stato in Bolivia ha significato il ritorno agli anni delle dittature. 

 
Entrambi gli avvenimenti hanno marcato la situazione regionale in un anno convulso, nel quale ci sono state anche manifestazioni di massa contro le politiche neoliberali in paesi come Cile, Ecuador, Colombia, Haiti e Honduras. 
 
ARGENTINA HA VOTATO PER IL CAMBIAMENTO 
 
Nelle elezioni del 27 ottobre in Argentina, la combinazione rappresentata da Alberto Fernandez e Cristina Fernandez, del Frente de Todos, ha ottenuto il trionfo con il 48,24% dei voti, al di sopra del presidente Mauricio Macri, di Juntos por el Cambio, che ha raggiunto il 40,28%.   

Gli analisti vincolano i risultati elettorali allo scontento della popolazione con le politiche del governo che hanno aumentato la disoccupazione e la povertà, hanno provocato lo smantellamento dei programmi sociali, hanno favorito la privatizzazione, hanno indebitato il paese ed hanno posto l’economia sotto la supervisione del Fondo Monetario Internazionale (FMI). 
 
Durante il suo discorso di presa di possesso, il 10 dicembre il nuovo presidente si è dispiaciuto di ricevere un paese fragile e prostrato, dove uno su due bambini è povero, l’inflazione è la più alta in quasi tre decadi, il Prodotto Interno Lordo (PIL) il più basso dal 2009 ed il debito estero è nel suo peggiore momento. 
 
“Dietro questi numeri terrificanti, ci sono esseri umani con aspettative distrutte”, ha detto Fernandez. 
 
 
RITORNANO I GOLPE DI STATO NELLA REGIONE 
 
Se il trionfo di Fernandez è stato considerato per i settori progressisti come un soffio di aria fresca; nel paese vicino, Bolivia, il golpe di Stato contro il governo di Evo Morales ha costituito una retrocessione per la democrazia, dopo 13 anni di un processo di cambiamento che è riuscito a tirare fuori dalla povertà ad oltre due milioni di persone ed ha trasformato la nazione in quella di maggiore crescita del PIL a livello regionale. 
 
Il 10 novembre Morales ha annunciato la sua rinuncia alla presidenza dopo che l’esercito gli ha chiesto di abbandonare l’incarico e le forze della polizia si sono ribellate, in accordo con la destra, che denunciava una supposta frode nei suffragi del 20 ottobre. 
 
In quelle elezioni, il candidato del Movimento Al Socialismo (MAS) si è imposto col 47,8% dei voti, di fronte al 36,51% raggiunto dall’oppositore Carlos Mesa, dell’alleanza Comunidad Ciudadana. 
 
Tuttavia, quando mancavano da scrutare più di un milione di voti dell’area rurale, dove storicamente il MAS ha avuto un ampio vantaggio, il candidato di Comunidad Ciudadana ha cominciato a denunciare una supposta frode e l’OSA ha raccomandato la realizzazione di un secondo turno. 
 
Dopo la rottura dell’ordine costituzionale, forze congiunte dell’esercito e della polizia hanno provocato una violenta repressione contro le manifestazioni popolari, che hanno lasciato come saldo più di 30 morti, 800 feriti ed una cifra superiore a 1500 detenuti. 
 
Analisti politici hanno denunciato la partecipazione dell’OSA e degli Stati Uniti nei recenti avvenimenti in Bolivia ed hanno fatto notare che dietro il golpe di Stato c’è l’interesse di appropriarsi delle risorse naturali del paese, soprattutto del litio e del gas. 
 
Il presidente legittimo, che si trova rifugiato in Argentina, dopo un soggiorno in Messico, ha denunciato che il più grande peccato del suo governo è stato quello di avere fatto tre cose: in politica, rifondare una Bolivia che passò da essere uno stato coloniale ad uno plurinazionale, in economica la nazionalizzazione delle risorse naturali, e la cosa più importante nel sociale, la ridistribuzione della ricchezza. 
 
 
LULA LIBERO 
 
 
L’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è uscito dal carcere l’8 novembre, dopo compiere 580 giorni di ingiusta detenzione nella Sovrintendenza della Polizia Federale di Curitiba, nello stato di Paraná. 
 
La giustizia brasiliana ha decretato dopo la sua liberazione che il Tribunale Supremo Federale ha considerato come incostituzionale l’incarceramento di una persona prima che si esauriscano tutte le risorse legali possibili. 
 
Lula era stato condannato in un processo piagato di irregolarità e che, come ha denunciato, ha avuto come fine allontanarlo dalla vita politica, quando tutte le inchieste lo davano come favorito per vincere le elezioni presidenziali del 2018 in Brasile. 
 
Benché la sua condanna non rimanga annullata completamente, ed il leader brasiliano dovrà continuare la battaglia per una giustizia definitiva, la sua uscita dal carcere è stata una vittoria per governi, leader politici e sociali di tutto il mondo, che l’hanno considerata come un trionfo dei popoli e della solidarietà. 
 
IL MODELLO NEOLIBERALE SI ESAURISCE 
 
Nel 2019, America Latina si è vista scossa da manifestazioni popolari in Ecuador, Cile, Colombia, Honduras e Haiti, che sebbene hanno avuto le loro proprie peculiarità in ogni paese, hanno dimostrato l’esaurimento del modello neoliberale, spinto dai governi di destra. 
 
In Ecuador, la causa è stato un pacchetto di misure economiche imposte dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), che stipulava l’eliminazione dei sussidi ai combustibili e la riduzione dei salari e del periodo di vacanza degli impiegati pubblici. 
 
Alle proteste in Ecuador sono seguite quelle in Cile che, benché cominciassero in ripudio ad un aumento nei passaggi del metro, dopo sono diventate un enorme reclamo per l’aumento di salari e pensioni, miglioramenti nella salute e nell’educazione, cambiamento del modello neoliberale e riforma della costituzione, ereditata dall’epoca della dittatura. 
 
Come è accaduto in altri paesi, le manifestazioni in Cile sono state violentemente soffocate dall’esercito e dalla polizia, con un saldo di decine di morti, più di tre mila feriti, tra loro 350 con lesioni oculari causate dai pallini di piombo e dalle armi da fuoco. 
 
In novembre sono cominciate in Colombia mobilitazioni contro un progetto di riforme del governo su pensioni ed imposte, ma presto si sono sommate altre esigenze, come il diritto ad un’educazione di qualità, il compimento degli Accordi di Pace e la sospensione della violenza, in un paese dove dal 2016 sono stati assassinati più di 700 leader sociali e difensori dei diritti umani. 
 
Ad Haiti, le proteste contro l’eliminazione della sovvenzione ai combustibili, ordinata dall’FMI, si estesero a tutti i settori con richieste che vanno da più impiego ed accesso ai servizi di base, fino al cambiamento del sistema, un governo di unità nazionale ed un processo giudiziario per i funzionari accusati di corruzione. 
 
Mentre, in Honduras si registrano da aprile manifestazioni e scioperi contro i piani del governo di privatizzare i settori della salute e dell’educazione e per esigere la rinuncia del presidente Juan Orlando Hernandez, accusato di ricevere denaro dal narcotraffico per finanziare le sue campagne elettorali. 
 
Benché le esigenze in ogni paese siano differenti, esperti coincidono in che l’esplosione sociale è vincolata al fallimento delle politiche applicate nella regione che hanno portato, tra le altre conseguenze, la perdita di posti di lavoro, la privatizzazione ed i ritagli nella spesa pubblica. 
 
 
Carmen Esquivel Sarria, giornalista di Prensa Latina 

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