Anche se sono state decise per salvaguardare la vita, le misure di confino non sono state ben accolte da un numero considerabile di persone, spinte da interessi e necessità ben diverse.
Ignoranza, interessi di partito, interessi economici e fanatismi politici a parte, molte delle persone che si sentono col diritto di esigere il sollevamento delle restrizioni sono quelli soffocati dalle necessità di pagare puntualmente l’affitto, per citare solo un esempio.
Il contagio o la fame, il dilemma dei lavoratori informali durante la pandemia di COVID-19, è una notizia preoccupante per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), infatti l’istituzione riconosce che 1600 milioni dei 2000 milioni di lavoratori dell’economia informale sono colpiti dalle misure di confino.
La maggioranza di queste persone non hanno altri mezzi di sussistenza, per ciò affrontano un dilemma che praticamente non può essere risolto: morire di fame o per il virus, riconosce l’organizzazione.
Per i 67 milioni di lavoratori domestici del mondo, di cui il 75% è informale, la disoccupazione rappresenta una minaccia tanto grande come lo stesso virus, sottolinea.
“La crisi di COVID-19 sta esacerbando le vulnerabilità e le disuguaglianze esistenti”, ha considerato Philippe Marcadent, funzionario dell’OIL.
Per questo, l’esperto ha raccomandato risposte politiche che garantiscano che l’appoggio arrivi ai lavoratori e le aziende che hanno più bisogno di aiuto.
Asfissiati dai modelli politici nei quali non esiste spazio per il riposo, la malattia od un altro tipo di contingenza, migliaia di persone si lamentano per la conseguenza più che per la causa del problema, quella che li ha portati a simile livello di vulnerabilità.
Perché nonostante avere una casa, accesso alla salute pubblica e cibo sono i diritti fondamentali, per milioni di persone ottenere ciò è un compito titanico giorno dopo giorno. Tutto questo, dice il Premio Nobel di Economia, Joseph Stiglitz, è il risultato di 40 anni di spietato neoliberalismo nel quale l’appetito vorace delle privatizzazioni ha lasciato completamente disarmati centinaia di stati.
Infatti, invece dell’aiuto promesso verso le classi più svantaggiate, dopo decadi di neoliberalismo i frutti sono andati a finire a pochi nel vertice della piramide.
D’accordo coi suoi studi, l’economista ha rivelato che negli Stati Uniti, per esempio, la disuguaglianza è molto peggiorata.
La quota del fattore lavoro, la porzione delle entrate che arrivano ai lavoratori (sono esclusi dirigenti e banchieri) è scesa da un 75% nel 1980 ad un 60% nel 2019, cioè, una caduta del 15% in trenta anni, ha assicurato.
In senso contrario, ha aggiunto, il 10% della cupola, l’1% nel vertice e fino allo 0,1% ancora più su, si aggiudicano una porzione ogni volta maggiore della torta nazionale.
In questo modo, ha condannato, quell’1% ha duplicato ed il 0,1% ha aumentato le sue fortune quasi quattro volte negli ultimi 40 anni.
È più che evidente che l’apparizione di questo nuovo coronavirus non ha creato la disuguaglianza ma sì è riuscito a mettere in rilievo il suo lato più duro.
Così, migliaia di lavoratori credono di sentirsi oppressi per una misura che cerca di salvare le loro vite, quando in realtà la causa del problema è la riproduzione di politiche neoliberali che li sottomettono ad una terribile depredazione.
Si tratta di un modello ereditato e che molti, purtroppo, considerano normale.
D’accordo coi calcoli della Commissione Economica per America Latina ed i Caraibi (CEPAL), la pandemia della COVID-19 condurrà alla maggiore contrazione dell’attività economica nella storia della regione.
La sua segretaria esecutiva, Alicia Barcena, ha dichiarato che la pandemia ha reso visibili problemi strutturali del modello economico e le carenze dei sistemi di protezione sociale ed i regimi di benessere che oggi risultano molto cari.
Per ciò, ha aggiunto, dobbiamo avanzare verso la creazione di un Stato di benessere in base ad un nuovo patto che consideri il lato fiscale, quello sociale e quello produttivo.
Magari, in questo modo, preservare la salute non risulterà un ostacolo per la vita stessa.
Ivette Fernandez Sosa, giornalista di Prensa Latina