La nazione ha riportato il primo caso il 22 marzo scorso, un emigrante siriano proveniente dalla Spagna, mentre nelle ultime due settimane si sono annunciati solo tre positivi tra i rimpatriati dall’estero.
Queste cifre hanno portato il governo a ridurre le misure di emergenza ed in questo senso è diminuito l’orario del coprifuoco, si sono riaperti parzialmente i mercati e si sono permessi i viaggi ed il trasporto collettivo urbano ed intercomunale, oltre a ristabilire il lavoro in tutte le istituzioni statali.
Secondo il vicedirettore di Malattie Trasmissibili e Croniche nel Ministero di Salute Pubblica, Atef Al-Tawil, la pandemia non si è diffusa nel paese per varie ragioni, tra queste l’adozione di misure preventive e precoci, prima di riportare il primo caso.
Inoltre, i voli ed i viaggi con altri paesi sono molto pochi, mentre non esiste traffico aereo significativo con nazioni che hanno riportato alte cifre di contagiati, come Cina ed Italia.
Se l’epidemia si fosse propagata durante l’estate, ci sarebbe stata più possibilità della sua diffusione in Siria, poiché è la stagione preferita per gli emigranti e gli stranieri per visitare il paese, ha precisato.
D’altra parte, ha spiegato che non c’è stata una prima tappa della pandemia in Siria per parlare poi di una seconda; “la nostra principale preoccupazione proviene dall’entrata di persone contagiate attraverso i punti di confine illegali e fuori dal controllo del Governo, dove queste persone non si sottomettono alla quarantena”.
Il governo di Damasco ha comunicato che circa 30 del totale dei contagiati nel paese si concentrano sul quartiere di Sayyeda Zeinab, nel sud di questa città capitale, che è stato isolato completamente per ostacolare l’uscita del virus.
A dispetto di più di nove anni di guerra terroristica imposta ed ad un ferreo blocco degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali, Siria dispone di installazioni mediche con 25 mila letti, ed ha preparato 16 ospedali provinciali per ricevere i malati con COVID-19.
Ig/fm