venerdì 26 Luglio 2024
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Africa: uno specchio che perde il metallo

Quando uno specchio riflette l'immagine che ha davanti, quello che appare può avere maggiore o minore nitidezza e dettagli, in dipendenza del metallo che possieda. 

 
Applicata questa evidenza all’ambito politico, economico e sociale del mondo contemporaneo, ci permette di verificare che nel continente africano sembra che il suo specchio cominci a perdere alcune proprietà. 
 
Dalla nascita dell’Unione Africana nel 2002, questa organizzazione ha scommesso sul fare uso delle sue risorse di iniziativa, creatività e di ogni tipo, che ha sintetizzato in un documento programmatico denominato “Agenda 2063”, che ha disegnato l’Africa del futuro. 
 
Nel bel mezzo delle sue attività per assegnare contenuto concreto al suo piano strategico e tentando di avanzare nella materializzazione del tema dell’anno 2020: “Far tacere le armi; creando condizioni che conducano allo sviluppo dell’Africa”, gli africani sono stati sorpresi da un nuovo conflitto con un nemico invisibile che lascia dietro di sé vittime numerose. 
 
La pandemia del coronavirus SARS-CoV-2 che provoca la COVID-19 ha trovato un’Africa quasi disarmata per combatterla, senza un’altra alternativa che affrontarla mentre le risorse nel mondo scarseggiano per tutti. 
 
Nell’attuale mese di maggio si registrano 54 dei 55 Stati membri dell’Unione Africana con casi confermati dell’attuale malattia e solo la Repubblica Araba Democratica del Saharawi appare fuori da questo elenco. 
 
Da quando è apparsa la COVID-19 per queste terre il marzo scorso, si constata che la maggioranza dei paesi hanno adottato decisioni governative per favorire l’isolamento sociale con l’obiettivo di frenare l’avanzamento della malattia, unito ad altre gestioni dirette a rinforzare i loro sistemi di salute, generalmente limitati. 
 
Tanto diverse, come il continente stesso, sono state le forme di attenzione ai positivi e le misure di prevenzione tra un paese ed un altro. 
 
L’Africa esibisce un numero di casi confermati apparentemente basso (92348 fino al 21 maggio) se si confronta col totale della sua popolazione e con altre zone del mondo; inoltre fino ad oggi ha registrato solo 2918 morti. 
 
Le speculazioni che si disseminano nella regione sui motivi di una morbilità così ridotta vanno dalla genetica africana e sulle alte temperature che prevalgono nel continente, fino al consumo abituale di caffè ed altri prodotti naturali da parte dei suoi abitanti. 
 
Molte delle fonti consultate, e la propria percezione dell’autore, segnalano pochi casi a partire dagli scarsi mezzi di diagnosi e di laboratorio, le strategie di rilevamento sono poco offensive e le statistiche di bassa affidabilità, tra gli altri fattori obiettivi. 
 
Il panorama si percepisce ancora più grave se sommiamo la bassa percezione del rischio di molta gente, ancorata nella credenza che il SARS-CoV-2 è una malattia dei bianchi o dei ricchi e che “loro sono protetti da Dio”. 
 
Come è accaduto con l’AIDS, la paura della stigmatizzazione di essere portatore di questo nuovo coronavirus e con ciò essere oggetto di rifiuto nel seno della comunità, contribuisce al fatto che i sintomi si nascondano e che molti decessi siano riportati come risultato di altre cause. 
 
Ci sono paesi che hanno adottato strategie precoci di chiusure dei confini e sospensione di attività che quasi hanno implicato una paralisi economica totale, i cui risultati si possono già notare. 
 
La crescita lenta di casi ufficialmente confermati nella maggioranza dei paesi, unita a pressioni interne di diverso tipo affinché si modifichino le drastiche misure di quarantena, dove sono state adottate, ha implicato una repentina ondata di ripresa della “vita normale” in molti stati provocando perfino che i nuovi casi di contagio aumentino. 
 
Quello che oggi accade in Europa, negli Stati Uniti ed in Asia con il nuovo inizio delle attività in mezzo agli appelli dell’OMS alla cautela per evitare nuovi aumenti delle infezioni, è servito da stimolo per gli africani, che si specchiano in quella realtà e non sempre nella loro, per togliere le restrizioni. 
 
Vari paesi nel mondo stanno correndo contro il tempo per ottenere la primizia di un vaccino effettivo contro la COVID-19, ma nel caso degli africani, la concorrenza è stata per il risultato di un rimedio tradizionale effettivo. 
 
Attualmente, è Madagascar quello che ha più successo, con il suo decotto per prevenire e curare questa malattia, che ha provocato molti entusiasmi tra leader tradizionali e non pochi Capi di Stato o di Governo, di fronte all’incredulità dell’OMS e del Centro per il Controllo e Prevenzione delle Malattie dell’Unione Africana, che hanno esatto delle prove scientifiche che avallino l’efficacia del prodotto. 
 
Questo è uno scenario pericoloso, perché date le caratteristiche degli africani, molto abituati ai benefici della medicina naturale e tradizionale, si potrebbe creare una forte smobilitazione nella popolazione sulle misure che universalmente si raccomandano di mantenere. 
 
Purtroppo, nel contesto di questa pandemia, l’Africa potrebbe affrontare conseguenze drammatiche nel futuro immediato e mediato, magari come nessun altro continente.

Angel Villa Hernandez, ambasciatore di Cuba presso l’Unione Africana

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