venerdì 26 Luglio 2024
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Cresce nel mondo interesse per la cooperazione medica di Cuba

Mentre gli Stati Uniti cercano di squalificare la cooperazione medica internazionale di Cuba, cresce la lista di brigate inviate dall'isola per combattere la COVID-19 in diverse latitudini del pianeta. 

 
Sono i membri del Contingente Henry Reeve, creato nel 2005 da Fidel Castro per affrontare situazioni di gravi epidemie e disastri naturali. 
 
È un’eredità della tradizionale esperienza solidale della Rivoluzione Cubana che non ha esitato di andare in aiuto di altri paesi che soffrono terremoti, inondazioni ed altre calamità, come epidemie di dengue ed ebola, come ha fatto in tre paesi dell’Africa occidentale. 
 
Con tale curriculum, L’Avana ha ricevuto e riceve sollecito da diverse parti del mondo affinché i suoi esperti sanitari aiutino a combattere la pandemia, benché anche anteriormente i suoi specialisti erano presenti in 59 paesi. 
 
Per ciò negli ultimi tre mesi la maggiore delle Antille ha inviato 38 brigate sanitarie a 31 paesi e territori, uno spiegamento che segna una nuova pietra miliare in questa pratica cubana. 
 
Per affrontare il contagio del nuovo coronavirus si sono mobilitati da Cuba 3440 collaboratori della salute, dei quali il 65% sono donne. 
 
In queste brigate lavorano 1944 laureati in infermeria. 
 
I cubani dai camici bianchi sono in Venezuela, Saint Vincent e le Grenadine, Dominica, Suriname, tra gli altri paesi della regione. 
 
Inoltre in Angola, Togo, Guinea Bissau, Sudafrica, Capo Verde e la Repubblica della Guinea. 
 
Cresce la presenza di esperti della salute cubani in nazioni del Golfo Persico, come Oman, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, tra le altre. 
 
I medici dell’isola caraibica ben presto si sono preparati per salvare vite in Italia ed Andorra, ma anche nelle isole Turk e Caicos (territori di oltremare del Regno Unito), e Martinica, con sovranità francese. 
 
Questi paesi hanno governi considerati storicamente alleati degli Stati Uniti, ma che non appoggiano la crociata di Washington contro l’adempimento internazionale di Cuba in materia di salute. 
 
Mentre Donald Trump accusa L’Avana di sottomettere i suoi medici alla tratta di persone e perfino a forme di schiavitù, la realtà è che nel mondo aumenta l’interesse per contare con Cuba nella lotta per combattere la pandemia e perfino per una tappa post COVID-19. 
 
E ciò succede mentre Washington minaccia di fare rappresaglie contro quelli che chiedono ed utilizzano la cooperazione medica della piccola e bloccata vicina, nonostante le stragi che sta facendo la pandemia nel mondo. 
 
Cuba è stata enfatica in che i suoi esperti di salute non escono a cercare lavoro. 
 
Loro viaggiano volontariamente in compimento di un accordo per il quale nella loro patria preservano il loro posto di lavoro, salario mensile integro, la previdenza sociale, ed inoltre ricevono uno stipendio. 
 
La cooperazione cubana ha varie modalità. In alcune, Cuba paga lo stipendio ed il paese ricevente la logistica locale. 
 
Altre forme sono la via dei Servizi Medici ed assistenza tecnica, un’esportazione di servizi con alto contenuto umanitario ed in difesa della salute e della vita. 
 
Le entrate per questi servizi contribuiscono a sostenere il sistema di salute cubano, universale e gratuito per tutta la popolazione. Anche per l’acquisto di tecnologia e materie prime necessarie a questo settore. 
 
Paradossi di questi tempi. Gli Stati Uniti vogliono tagliare la cooperazione medica cubana, ma nell’isola studiano medicina e si sono laureati come medici giovani della nazione settentrionale. 
 
Ciò succede nella Scuola Latinoamericana di Medicina che ha formato dal 1999 circa 30 mila dottori provenienti da un centinaio di paesi. 
 
Orlando Oramas Leon, giornalista di Prensa Latina  

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