venerdì 26 Luglio 2024
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Cali, città assediata colombiana, e le grandi mobilitazioni

La città di Cali, nella Valle del Cauca in Colombia, si risveglia oggi sotto assedio da parte di militari e polizia dopo un ordine criticato del presidente Iván Duque di porre fine alla protesta sociale.

Ieri sera il presidente ha dato istruzioni ai Ministri dell’Interno e della Difesa, rispettivamente Daniel Palacios e Diego Molano, di militarizzare questa città e “garantire (…) il massimo dispiegamento delle capacità della Forza Pubblica”.

Ha chiesto l’applicazione della proibizione delle bevande alcooliche, ha revocato i blocchi e ha ordinato che i membri del Consiglio Regionale Indigeno del Cauca ritornino alle loro terre.

Alle 00:00 ora locale, la Valle del Cauca ha chiuso i confini, è stata ridotta la mobilità dei mezzi di trasporto e delle persone per entrare nel territorio, misure che staranno in vigore fino a sabato prossimo, secondo gli ordini.

L’ordinanza è stata emessa dopo i fatti accaduti ieri pomeriggio quando i civili, supportati dalla stessa polizia, hanno sparato contro le popolazioni indigene riunite nel contesto dello sciopero nazionale, secondo denunce e video in diretta trasmessi sui social network.

La polizia ha ritenuto le comunità ancestrali responsabili dello scontro, ma Feliciano Valencia, senatore del Movimento Alternativo Sociale e Indigeno, ha negato tali accuse.

“Sono menzogne, perché la Guardia Indigena non è armata, né ha saccheggiato case o negozi, non siamo ladri o vandali. Sono stati i civili armati protetti dalla polizia ad attaccare il movimento indigeno, la Minga, che era disarmato”, ha detto.

L’attacco contro la Minga indigena a Jamundí è stato denunciato dall’ONU e da molte personalità del paese.

Pochi minuti dopo l’ordine di Duque, l’esercito ha annunciato che i soldati della terza brigata, in conformità con l’assistenza militare, avevano il controllo locale attraverso pattuglie in diversi settori di Cali, Jamundí e Yumbo, “cercando di garantire il benessere dei cittadini”.


La verità è che una delle richieste delle grandi mobilitazioni che hanno avuto luogo in Colombia dal 28 aprile scorso è quella di porre fine alla militarizzazione delle strade e alla cessazione della violenza contro il popolo.

Dopo 12 giorni di proteste, 47 persone sono state uccise nel contesto dello sciopero nazionale, di cui 39 per mano della forza pubblica, ha denunciato Temblores Ong, un gruppo che aggiorna e sostiene i casi di violenza in queste manifestazioni.

Il senatore dell’Alleanza Verde, Antonio Sanguino, ha avvertito che il presidente Duque ha scelto il cammino sbagliato per risolvere la crisi a Cali.

È assolutamente sbagliato, secondo lui, “rinchiudersi ancora di più nel Palazzo e mandare la Forza Pubblica affinché agisca insieme ai civili armati, violando i diritti umani della popolazione”.

Dal 28 aprile le proteste non si sono fermate in questa nazione sudamericana e quella che era iniziata come una rivendicazione contro una dannosa riforma fiscale, è diventata un’ondata di mobilitazioni di massa attaccate da poliziotti e da infiltrati in abiti civili.

Lacrimogeni, getti d’acqua, colpi con armi da fuoco, elicotteri che sorvolano le manifestazioni, sono alcune delle costanti in questo scenario di repressione che Colombia sta vivendo.

Odalis Troya Flores, giornalista di Prensa Latina

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