Secondo il quotidiano Global Times, un portavoce della società ha spiegato che questa misura mirava a prevenire danni alla “sicurezza delle informazioni e ai diritti dei consumatori”, ma non mirava a “nessun mercato specifico”.
“L’indagine ha prodotto risultati significativi e i dispositivi interessati possono essere sbloccati ora”, ha aggiunto il rappresentante dell’azienda, creata nel 2010 e con una crescita esponenziale all’interno e all’esterno della Cina negli ultimi mesi.
Giorni fa, la preoccupazione è stata generata dal blocco degli smartphone Xiaomi nelle mani di molti proprietari residenti in nazioni come Cuba, Iran, Siria, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Sudan e Repubblica Autonoma Russa di Crimea.
L’azienda cinese non ha una presenza ufficiale in nessuno di loro e alcuni media hanno addirittura collegato l’evento all’extraterritorialità delle sanzioni statunitensi imposte a quei territori.
Xiaomi nasce a Pechino sotto il comando dell’imprenditore Lei Jun e con la premessa di offrire tecnologia all’avanguardia, qualità più un prezzo accessibile alla maggior parte delle tasche.
La sua continua evoluzione l’ha posizionata all’avanguardia del mercato domestico e quest’anno l’ha portata a soppiantare – per la prima volta e in termini di vendite – l’americana Apple al secondo posto nel pianeta tra i principali produttori di smartphone.
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