In meno di un anno, membri di gruppi di estrema destra, come la Rivoluzione Federale, hanno lanciato molotov contro la Casa Rosada, hanno collocato borse mortuarie con le sue foto intorno alla sede del governo, hanno assicurato che l’avrebbero portata al patibolo ed hanno gettato immondizia all’Istituto Patria, da lei fondato.
Il 1° settembre, un uomo di nome Fernando Sabag ha cercato di ucciderla con una pistola mentre salutava le persone riunite fuori dalla sua casa nel quartiere Recoleta della capitale per esprimere il loro sostegno nei suoi confronti di fronte alla persecuzione giudiziaria in corso.
Sebbene abbia premuto il grilletto due volte, il proiettile non è uscito, il che è stato considerato da molti un miracolo.
Mi sento viva per Dio e per la Vergine, ha affermato Fernández pochi giorni dopo, esortando a ricostruire il patto sociale stabilito dopo l’ultima dittatura militare in questo paese (1976-1983), gravemente danneggiato da tale aggressione.
Dopo l’attentato è iniziato un processo investigativo, criticato dall’ex capa dello Stato per le irregolarità commesse ed il rifiuto della giudice María Eugenia Capuchetti di continuare le indagini quando gli indizi indicavano presunti legami tra tre detenuti, forze estremiste, politici dell’opposizione e uomini d’affari legati all’ex presidente Mauricio Macri (2015-2019).
Infine, il 6 dicembre, la Corte Orale Federale 2 ha inflitto una pena di sei anni di reclusione e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici all’alla capa del Senato nazionale per presunta amministrazione fraudolenta in danno della pubblica amministrazione.
“La validità di un accordo democratico da quasi quattro decenni esige che si possano giudicare i responsabili dei crimini del periodo più raccapricciante della nostra storia, ma anche che non ci siano proscrizioni, persecuzioni o carcerazioni nei confronti di chi rappresenta gli interessi popolari”, ha concluso Cristina Fernandez.
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