venerdì 26 Luglio 2024
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Tutte le strade del vertice di Palenque portano agli Stati Uniti

Chiunque abbia seguito da vicino l’importante vertice dei 12 paesi dell’America Latina e dei Caraibi colpiti dalla crisi migratoria si sarà reso conto che tutte le critiche riguardano gli Stati Uniti.

È stato un incontro breve e, come ha detto il suo anfitrione, Andrés Manuel López Obrador, due volte interessante, perché ha dato inizio ad un nuovo tipo di unione regionale nella ricerca di una soluzione dignitosa ad una situazione indecorosa creata dai nipoti e pronipoti di John L. O’ Sullivan e James Monroe, che pensano come loro di incatenare l’America Latina ed i Caraibi.
Il fatto è che, fino a questo momento di cambiamento che l’umanità sta vivendo, la comunità colpita dall’esodo migratorio non si era riunita per analizzarne e giudicarne le cause più profonde, e Palenque ha contribuito in sole due o tre ore di analisi, non solo a diagnosticarle, ma anche ad affrontarle con una visione di successo.
Se tutte le analisi dei 12 governanti hanno avuto come centro di critica gli Stati Uniti e la loro politica estera aggressiva ed inadeguata ai nuovi tempi, le soluzioni portano anche a questo stesso paese, che rifiuta che per tutti la cosa migliore sia un diverso tipo di buon vicinato a quello della Dottrina Monroe.
Questo concetto è stato espresso nel motto dell’incontro: “Per un vicinato fraterno e di benessere” che, come lo ha definito il suo promotore, è stato “unire sforzi, volontà e risorse per affrontare le cause del fenomeno migratorio”.
Prendendo questo criterio come filo conduttore, e partendo dal presupposto che il governo di Washington non si muoverà dalle sue posizioni di negare le risorse per fermare l’esodo, il vertice ha adottato una serie di valutazioni affinché la regione cerchi di mitigare la crisi migratoria con misure proprie.
Così, la dichiarazione congiunta letta dalla ministra degli Esteri, Alicia Bárcena, offre gli assi centrali di un piano d’azione che dovrà essere strutturato d’ora in poi per produrre risultati e che coinvolge gli Stati Uniti.
Così, ad esempio, il secondo dei 13 punti propone di promuovere il commercio intraregionale di beni e servizi di prima sussistenza, promuovendo le preferenze tariffarie, le quote e l’eliminazione delle barriere non tariffarie. Perché? Ebbene, perché ciò non è stato mai raggiunto con il commercio con gli Stati Uniti.
Un altro punto, sollecitare la revoca delle misure coercitive unilaterali imposte ai paesi della regione, contrarie al diritto internazionale e che hanno gravi ripercussioni ben oltre ai paesi presi di mira. A chi è rivolto? Agli Stati Uniti.
Sollecitare che i paesi di origine, transito e destinazione attuino politiche migratorie globali che rispettino il diritto umano a migrare, salvaguardando la vita e la dignità dei migranti e delle loro famiglie. Inutile dire che va contro il colosso USA.
Anche sullo stesso tema c’è stato un accordo molto diretto: “Proporre ai governi di Cuba e degli Stati Uniti di intrattenere un dialogo globale sulle loro relazioni bilaterali nel più breve tempo possibile”. Cuba lo accetta, ovviamente. E la Casa Bianca?
Insomma, parodiando i romani di un’epoca lontana, tutte le strade percorse al vertice di Palenque portano agli Stati Uniti.

Luis Manuel Arce Isaac, corrispondente in Messico di Prensa Latina

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