domenica 12 Maggio 2024
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I palestinesi, nella loro lotta, hanno usato mezzi pacifici molto più della violenza

Uno degli argomenti più costanti dei media filo-imperialisti e filo-sionisti è stata la violenza “innata” e la tendenza al terrore da parte del popolo palestinese, presentandolo come portatore di un’ideologia medievale di martirio e di fervore fanatico per la morte.  

Il metodo seguito da questi media è stato quello di omettere completamente la vasta documentazione di lotta pacifica e di resistenza non violenta da parte del popolo palestinese, da un lato, drammatizzando ed esaltando di più i casi di atti violenti, che per alcuni sono, apparentemente “inspiegabili e venuti dal nulla”, come gli orribili attacchi di Hamas del 7 ottobre.
Joseph Goebbels diceva che “una bugia detta mille volte diventa una grande verità”.
Il conflitto israelo-palestinese (in mancanza di un termine migliore) non è iniziato il 7 ottobre 2023 e la volontà dei gruppi armati palestinesi di usare la violenza non è l’unico ostacolo alla pace. Al centro di questa tragedia irrisolvibile c’è l’incapacità di una potenza coloniale ed occupante (e dei suoi sostenitori) di accettare il rifiuto da parte di un popolo della sua sottomissione e della sua determinazione a combatterla. Qualunque sia la forma assunta da questa resistenza – che comprende una lunga storia di non violenza e disobbedienza civile, nonché di lotta armata – Israele ha risposto con un uso sproporzionato della forza e senza tenere conto del costo umano.
I media occidentali si sono troppo spesso concentrati sulla lotta armata palestinese, dal Settembre Nero alla presenza armata dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) in Libano, agli attentati suicidi della fine degli anni ’90 e dell’inizio degli anni 2000, alla Seconda Intifada ed ai più recenti attacchi missilistici di Hamas contro Israele. Tuttavia, spesso si ignora completamente che, fin dall’inizio, la resistenza non violenta è stata la forma fondamentale della lotta palestinese per la libertà, fatto che invece è stato presentato dai media filocapitalisti e filosionisti all’opinione pubblica mondiale (con molta più enfasi negli Usa) come atti violenti e bestiali, che non permettono trattative politiche e diplomatiche e che, in ogni caso, non rispetterebbero quanto concordato.
Voglio ricordare alcuni dei momenti più importanti di questa lotta pacifica e di resistenza nonviolenta del popolo palestinese.
Nel 1972, il Consiglio Nazionale Palestinese decise che il luogo della lotta per l’autodeterminazione palestinese dovesse includere Cisgiordania e la Striscia di Gaza. L’anno successivo nei territori occupati era emerso il Fronte Nazionale Palestinese (FNP), un’organizzazione inclusiva, clandestina e autonoma. I suoi compiti principali includevano il coordinamento di scioperi e manifestazioni non violente in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza per protestare contro il dominio israeliano e riaffermare le richieste palestinesi di auto-rappresentanza.
Israele ha risposto con misure quali demolizioni di case, coprifuoco, deportazioni e detenzione amministrativa (imprigionamento senza processo o accusa), forme di punizione collettiva che sono diventate caratteristiche quotidiane dell’occupazione militare. Dopo aver occupato Cisgiordania e la Striscia di Gaza nel 1967, Israele ha vietato qualsiasi simbolo palese del nazionalismo palestinese, comprese bandiere e mappe.
Nel 1976, le elezioni municipali in Cisgiordania furono vinte da candidati sindaci nazionalisti, contro oppositori selezionati dall’amministrazione militare israeliana. Insieme a giornalisti, sindacalisti e leader di gruppi studenteschi e femminili, i nuovi sindaci istituirono nel 1978 il Comitato di Orientamento Nazionale (CON). Gli obiettivi principali del CON erano di protestare contro gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele, nonché contro qualsiasi accordo sulla Palestina in cui gli stessi palestinesi non erano rappresentati.
Nel giro di pochi anni, Israele bandì il CON, arrestò o deportò i principali organizzatori e mise agli arresti domiciliari la maggior parte dei sindaci nazionalisti che non avevano deportato.
All’inizio degli anni ’80 tutte le fazioni dell’OLP avevano stabilito strutture di base in tutta Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le organizzazioni di volontariato includevano sindacati, gruppi di studenti e gruppi di donne. Israele ha attaccato i rappresentanti di queste istituzioni, ponendone molti sotto “detenzione amministrativa”, intimidazioni ed umiliazioni di routine sono state estese ai partecipanti in queste organizzazioni di massa.
Israele ha anche attaccato i sostenitori palestinesi della resistenza nonviolenta. Nel 1983, ad esempio, Mubarak Awad, a volte noto come “il Gandhi palestinese”, creò il Centro Palestinese per lo Studio della Nonviolenza. Ha scritto il piano di dodici pagine per la resistenza passiva nei territori. Nel 1988, Israele deportò Awad con l’accusa di incitamento alla rivolta civile.
Quando scoppiò la Prima Intifada nel dicembre 1987, la decisione collettiva di astenersi dall’uso della violenza (a parte il lancio di pietre) fu strategica. Nelle prime settimane di agitazione di massa coordinata e di disobbedienza civile, furono organizzati una serie di comitati popolari locali in tutta Cisgiordania e nella Striscia di Gaza per sostenere e rafforzare l’Intifada.
In risposta, l’esercito israeliano ha affrontato i manifestanti disarmati con proiettili veri, ha imprigionato o deportato gli organizzatori, ha imposto il coprifuoco, ha tagliato le forniture di acqua, elettricità e carburante, ha demolito case, ha chiuso le scuole per mesi e le università per tre anni. Quando Israele e l’OLP firmarono la Dichiarazione di Principi che diede il via al Processo di Oslo nel settembre del 1993, Israele aveva ucciso più di 1.070 palestinesi (quasi tutti disarmati) e imprigionato più di 120.000 (secondo i dati di B’Tselem).
Nel corso del 2021, le azioni provocatorie di Israele sarebbero passate inosservate alla comunità internazionale se non fosse stato per il popolo palestinese che aveva preso una posizione collettiva, utilizzando tutte le forme di resistenza, da Sheikh Jarrah a Gerusalemme Orientale e Gaza. L’intero episodio, che ha portato ad una guerra israeliana contro Gaza a maggio, è iniziato con un tentativo israeliano di routine di pulire etnicamente i palestinesi da diversi quartieri di Gerusalemme Orientale, come Sheikh Jarrah e Silwan. Il massacro del 2021 ha provocato la morte di oltre 250 palestinesi, migliaia di feriti e massicce distruzioni.
Il 7 ottobre 2023 Hamas ha ucciso 1.200 israeliani. Da allora, Israele ha ucciso un numero imprecisato, non meno di 13.000 palestinesi, la maggior parte dei quali civili e più di un terzo bambini, attraverso campagne di bombardamenti indiscriminati e altri attacchi massicci, come punizione collettiva per crimini che non hanno commesso.
Perché l’indubbio dolore per la morte degli ebrei israeliani dovrebbe essere visto come un indebolimento della tesi secondo cui l’oppressione prolungata e sempre più miserabile del popolo palestinese è il fattore chiave dietro ciò che è accaduto, “in modo così brutale e imperdonabile”, dicono i media filosionisti, quel giorno, il 7 ottobre?
È necessario ribadire una volta di più che la resistenza palestinese contro l’occupazione coloniale israeliana è stata in gran parte non violenta e che la violenza è stata e continuerà ad essere generata dal contesto orwelliano della vita di due milioni di persone tenute imprigionate in una “prigione a cielo aperto”, cioè la Striscia di Gaza, oggi ridotta in macerie.
Qualsiasi somiglianza tra Hitler e Netanyahu non è affatto, come dicevano nei vecchi film di Hollywood, “pura coincidenza”.

José R.Oro, ingegnere cubano residente negli Stati Uniti, collaboratore di Prensa Latina

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