venerdì 26 Luglio 2024
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Bisogna decolonizzare la cooperazione internazionale allo sviluppo

Le persone e l'intera umanità sono il prodotto dell'incontro, di solidarietà o di cooperazione. Senza la cooperazione reciproca non esisterebbe nessun tipo di vita e men che meno la vita umana.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’allora presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, nel 1949, divise il mondo tra paesi sviluppati (loro) e paesi sottosviluppati (noi) e, sulla base del “consenso” dell’Organizzazione delle Nazioni Unite Nazioni (ONU), Europa e USA. Hanno intrapreso il programma di Cooperazione Internazionale allo Sviluppo (CIS) verso i paesi sottosviluppati. L’obiettivo era ed è: sviluppo e progresso per le persone.
Quasi un secolo dopo la validità della cooperazione internazionale allo sviluppo, confermiamo che questi programmi, in larga misura, erano meccanismi di ricolonizzazione per creare le condizioni socioculturali che rendevano possibile l’espansione del capitalismo (espropriazione/distruzione dei territori). In larga misura, i programmi di cooperazione internazionale hanno disintegrato il nostro popolo e ci hanno spinto verso il consumismo e l’illusione dell’imprenditorialità.
Nel caso delle comunità contadine, la cooperazione internazionale allo sviluppo ha promosso la “rivoluzione verde” che ha distrutto e continua a distruggere gli ecosistemi ed i tessuti della vita nei nostri territori. Ha disintegrato socialmente le comunità e “de-contadinizzato” le famiglie. Ora, le famiglie che ancora si dedicano alla produzione agricola non vogliono più produrre senza prodotti agrotossici.
La storia bicentenaria, bianca e sanguinosa, dell’intervento o del colonialismo (cooperazione) statunitense presenta aspetti disastrosi, come il Piano Abya Yala per il progresso nel nostro continente. Detto colonialismo statunitense, oggi, applica l’egemonia con la cooperazione letale dell’USAID, che non solo colonizza le menti e i sentimenti, ma feconda anche il “progressismo statunitense” per continuare a colonizzare i popoli, come nel caso dell’attuale governo del Guatemala.
Dalle città di Abya Yala sentiamo che la cooperazione internazionale per lo sviluppo è stata uno dei nuovi meccanismi di ricolonizzazione e perpetuazione del dominio dei “vincitori” della Seconda Guerra Mondiale sui popoli del Sud.
Quando Truman parlava di sviluppo e sottosviluppo, annunciava l’orizzonte del neocolonialismo del Sud per lo sviluppo del Nord. Senza colonizzare le menti ed i sentimenti delle popolazioni del Sud, attraverso la cooperazione internazionale “apolitica”, era impensabile espandere il capitalismo in tutto il mondo. Realizzare quindi lo sviluppo del Nord sulle ceneri del Sud.
Ma lo sviluppo promosso dal Nord, non solo ha messo il tessuto della Vita sul pianeta Terra in una “situazione limite”, ma ha anche affilato o “spostato” il Sud al Nord. Al punto che, ora, quel Sud impoverito nel Nord opulento chiede cooperazione allo sviluppo. Ma non c’è più il tempo, né le condizioni, per espandere lo “sviluppo” a più persone, tanto meno indefinitamente. La Terra, come macro-ecosistema di vita, non ne può più.
In questo contesto storico e planetario, abbiamo parlato con un meridionale del Nord, Eneko Gerrikabeitia, dei Paesi Baschi, dell’urgenza di decolonizzare la cooperazione internazionale e proiettarla come “accompagnamento” tra i popoli per una vita buona, come figli e figlie della madre Terra. Ora più che mai, i popoli colonizzati del Nord e del Sud hanno bisogno di unirsi per intraprendere i nostri percorsi di emancipazione per la nuova dignità della nostra Madre Terra.

Ollantay Itzamná, collaboratore di Prensa Latina

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