martedì 2 Luglio 2024
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Julian Assange rilasciato dal carcere: la libertà di stampa è in salvo?

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Julian Assange, giornalista australiano e fondatore del sito WikiLeaks, è oggi più vicino alla libertà definitiva, in seguito ad un accordo raggiunto dai suoi avvocati con le autorità degli Stati Uniti.

L’accordo di difesa con il Dipartimento di Giustizia prevede una dichiarazione di colpevolezza per violazione dell’Espionage Act, in cambio di una pena equivalente al tempo già scontato in una prigione del Regno Unito.
Così, dopo cinque anni di reclusione nel paese europeo, il comunicatore, 52 anni, ha lasciato lunedì mattina il carcere di massima sicurezza di Belmarsh, vicino Londra, e nel pomeriggio ha preso un volo all’aeroporto di Stanstead per lasciare il Regno Unito.
L’aereo è atterrato nella capitale tailandese, Bangkok, per fare rifornimento prima di partire per l’isola di Saipan, parte delle Isole Marianne Settentrionali, che sono territorio statunitense nell’Oceano Pacifico, dove arriverà il 26 giugno.
Secondo una lettera del Dipartimento di Giustizia presentata alla corte, Assange testimonierà mercoledì mattina davanti ad un tribunale delle Isole Marianne, luogo designato a causa dell’opposizione del giornalista al viaggio negli Stati Uniti continentali.
Secondo le disposizioni ed ancora in attesa dell’approvazione di un giudice, riceverà una condanna di 62 mesi di carcere, periodo che la giustizia considererebbe compiuto con la sua permanenza dal 2019 nel centro penitenziario britannico, dove era in attesa della risoluzione di un’estradizione richiesta alla nazione statunitense.
In questo modo il giornalista potrà tornare in Australia e porre fine a un percorso giudiziario di oltre 14 anni per la divulgazione di documenti riservati; solo nel 2010 la cifra ha raggiunto il mezzo milione di file legati alle guerre di Washington in Iraq ed in Afghanistan. Sebbene l’australiano abbia sempre difeso l’operato del sito WikiLeaks nel rispetto della libertà di stampa, le fughe di notizie lo hanno messo nel mirino dei pubblici ministeri statunitensi, che lo hanno accusato di aver cospirato per pubblicare illegalmente documenti governativi riservati.
Tuttavia, il recente accordo metterebbe fine a più di un decennio di contenziosi in diverse giurisdizioni in tutto il mondo – aveva già trascorso sette anni nell’ambasciata di Londra in Ecuador – ed a innumerevoli petizioni e campagne a favore del suo rilascio.
Anche il primo ministro australiano, Anthony Albanese, ha chiesto più volte agli Stati Uniti di chiudere il caso e, nell’aprile di quest’anno, lo stesso presidente, Joe Biden, ha dichiarato che stava prendendo in considerazione questa soluzione.
Julian Assange ed i suoi avvocati hanno ritenuto che il processo contro di lui intrapreso dagli Stati Uniti fosse motivato politicamente. Il giornalista ha addirittura accusato funzionari statunitensi di un presunto complotto per assassinarlo.
Fino ad oggi, il comunicatore australiano ha dovuto affrontare 18 accuse, la maggior parte delle quali incluse nell’Espionage Act, per la pubblicazione di documenti militari e diplomatici forniti a WikiLeaks dall’ex analista dell’intelligence dell’esercito statunitense, Chelsea Manning.
Il mese scorso, un tribunale del Regno Unito ha deciso che Assange poteva presentare ricorso contro la sua estradizione negli Stati Uniti, perché il governo degli Stati Uniti non aveva fornito garanzie sufficienti riguardo alla concessione delle stesse tutele della libertà di espressione di un cittadino statunitense.

Danay Galletti Hernandez, giornalista di Prensa Latina

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