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“L’ultima cosa che rimarrà sarà il libro”, Fidel Castro

"L'ultima cosa che rimarrà sarà il libro", ha risposto Fidel Castro, il leader di Cuba, con quella sicurezza nelle parole che lo ha caratterizzato, quando gli è stato chiesto della rivalità con le nuove tecnologie ed Internet.

Era il 1998, si svolgeva l’VIII Fiera Internazionale del Libro, poi nello spazio Pabexpo della capitale arrivò il Comandante in Capo a rubare l’interesse di giornalisti e cameramen presenti, nazionali e stranieri accreditati nella nazione caraibica.
L’immagine del momento, di quello che ci ha raccontato, torna oggi vestita di nostalgia per l’opportunità che abbiamo avuto di ascoltarlo, anche per la vicinanza del 13 agosto, in quello che sarebbe stato il suo 97° compleanno.
Arriva avvolta dalla preoccupazione, visto il percettibile allontanamento dei più giovani nei confronti dei libri e della buona letteratura.
Da buon conversatore, quel giorno Fidel ci dedicò circa due ore del suo tempo in una dissertazione che copriva gli argomenti più disparati, gli stessi legati alla letteratura, all’economia, ai conflitti bellici nel mondo; la conversazione si mosse a suo piacimento.
È stato un intenso dialogo con i presenti, scrittori compresi, in cui il libro, a volte in modo evidente, a volte in modo nascosto, è diventato un ottimo provocatore. Di quell’immenso periodo, insieme alla giornalista Magda Resik, abbiamo condiviso alcune sue riflessioni.
“Sento molto dolore per non poter stampare più libri e sento l’obbligo, come tutti i compagni che hanno responsabilità nel nostro paese, di fare quello che si può, anche se si tratta solo di un po’ più di libri.
C’è un numero impressionante di lettori nel nostro paese. A loro interessano opere di qualità e le più svariate: dai libri di narrativa, possono essere libri di storia, economia, geografia, scienza…”
“Quali sono i libri che la appassionano, quelli che preferisce?”

—Bisogna ricordare la dialettica, le diverse età. Mi sono sempre piaciuti molto quelli di storia, fin da quando andavo a scuola. La guerra civile spagnola… quando iniziò avevo 10 anni e leggevo tutti i giornali che arrivavano.

Non riuscivo a distinguere molto bene tra un giornale e l’altro, tra sinistra e destra, non sapevo niente di quelle cose.
Ma c’erano degli spagnoli che lavoravano con mio padre che non sapevano né leggere né scrivere e quando andavo in vacanza, per esempio, mi chiedevano di leggere per loro.
Ho letto loro la stessa cosa su El Diario de la Marina, El País, ognuno aveva la sua battuta (…) Tutte le principali battaglie della guerra di Spagna, a quell’età già le conoscevo, quella di Teruel, una nell’Ebro, l’assedio di Madrid, ho seguito tutto questo. Mi interessavano i libri militari, mi interessavano molto.
Ricordo che una volta mi è arrivato un album delle guerre napoleoniche molto ben fatto e con le figurine, erano figurine ma come se fossero foto, sul ponte Artola e Austerlitz, tutte le battaglie. Da molto presto, fin dalle elementari, le conoscevo.
Il tempo passava. Poi quella passione per i libri di storia delle nostre guerre, quello del 1868 e del 1895. Per quanto riguarda la Storia di Cuba, ho letto molto Miró Argenter, “Crónicas de la Guerra”, l’ho letto due volte ed ha circa 900 pagine. È stata una cosa emozionante quando questi libri sono caduti nelle mie mani (…)
Poi hai il tuo periodo romantico quando leggi Werther, di Goethe; Maria, di Jorge Isaac; il tempo di alcuni di quei romanzi più leggeri”.
“Non legge più storie d’amore?”
—Sì, per esempio quelle di García Márquez, che ha scritto romanzi d’amore. “L’amore ai tempi del colera”, per esempio. Siamo molto amici e di solito invia l’originale a pochi amici, quando è quasi pronto per la stampa. Addirittura, con grande modestia, chiede se c’è qualche piccolo particolare che non combacia.
E si scopre sempre un piccolo particolare come nel libro “Dell’amore ed altri demoni”, in cui c’era un cavallino che era stato regalato all’uomo, aveva 11 mesi, e dopo qualche giorno stava cavalcando.
Non ricordo in quale altro libro ci fossero dei fucili da caccia, non so in che cosa non si adattassero al tipo di fucile per la caccia che stava facendo. Sono piccoli dettagli così e mi manda i libri. Sono libri d’amore, non crede?
“E delle biografie dei personaggi?”

—Ho letto quasi tutti i libri di Stefan Zweig.

“Non ha mai pensato sulla sua?”

—Non ci ho mai pensato. Sono inorridito a pensarci, quando mi viene in mente di pensarci. Quando vedo tante testimonianze, che è il punto di vista di ognuno, rimango inorridito.
Mi piacerebbe davvero poter scrivere qualche volta delle cose che ho vissuto; alcuni pensieri; alcune riflessioni su come sono nate, quali erano certe concezioni del Moncada, prima del Moncada ed anche delle critiche.

“È questo il libro che vorrebbe scrivere?”

—Beh, è quello che potrei scrivere meglio perché di altri argomenti non ne so tanto quanto me stesso. Anche se forse nessuno si conosce abbastanza bene.

“Il libro morirà di fronte a tanta tecnologia?”

—No, penso che l’ultima cosa che rimarrà sarà il libro. Vedi che ancora non muoiono L’Iliade e l’Odissea.

“E la Bibbia?”

—La Bibbia è posteriore, è uno dei primi libri che ho dovuto leggere dalla prima elementare… Ho imparato alcune cose…

“Quanto tempo ha il Comandante Fidel per leggere?”

—Ah, io tutto il tempo… (sorride)

“Sì, ma lei è così impegnato…”

—Io non sono mai occupato, sono gli altri che sono impegnati.

Ma nonostante la battuta, quelli di noi che hanno ascoltato le sue confessioni conoscevano il dolore che provava per “non avere più tempo per leggere”.

Mario Muñoz Lozano, giornalista di Prensa Latina

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