Comunque, è certo che specialmente nel 2019, si corrobora in Messico un fenomeno atipico, cioè sono arrivati alla sua frontiera meridionale cittadini della Nigeria, Camerun, Bangladesh ed altri paesi dell’Africa e dell’Asia, fatto che prima era esclusivo dell’Europa.
Chiama l’attenzione che le persone di questi continenti che arrivano alla frontiera meridionale messicana, attigua con Guatemala, lo fanno via terra, fatto che significa che devono percorrere un’impressionante quantità di chilometri, per aria o per mare, molto superiore a quella che dovrebbero percorrere per arrivare in Spagna, in Italia od in Francia.
Quale è l’origine di questo presunto cambiamento di rotta? Ci sono varie spiegazioni, ma la più accettata è che quella che la migrazione percepisce che in questi momenti Messico è l’opzione più vantaggiosa davanti al freno dell’Europa a riceverli, con violazione dei loro diritti umani, all’estremo che per loro il Mediterraneo è la rotta più letale del mondo.
La cosa certa è che ogni giorno sono di più gli africani che si muovono per lavorare in Messico, con la speranza di continuare verso gli Stati Uniti o Canada seguendo il sogno americano, che, nella realtà, si è trasformato in un incubo.
Questa situazione contribuisce -benché non sia quella di maggiore peso – a che Messico ora passi da essere un paese di transito ad uno di destino per gli emigranti africani.
Ovviamente alcuni si fermano anche in altri paesi sud-americani, ma la gran maggioranza sceglie l’America Centrale con l’idea di attraversare Messico ed arrivare negli Stati Uniti, per seguire la rotta inaugurata dagli honduregni, salvadoregni e guatemaltechi, che si sono uniti in carovane enormi.
Qualcosa di simile succede con gli haitiani, che molte volte viaggiano senza documenti di identificazione per mescolarsi con gli africani, con il criterio equivoco che potranno passare meglio la frontiera con gli Stati Uniti, se non rivelano la loro nazionalità, dovuto al profondo rifiuto di cui sono oggetto da parte delle autorità statunitensi.
La cosa certa è che alle decine di migliaia di centroamericani che escono in carovane dall’Honduras verso Tapachula, si uniscono altre migliaia di africani, asiatici e caraibici che esercitano una pressione estrema sulle autorità locali.
Alcuni analisti locali stimano che il cambiamento di politica migratoria del governo di Andres Manuel Lopez Obrador di non reprimere gli emigranti, dar loro attenzione umanitaria e permettere visti temporali per lavorare in Messico, gli ha stimolati ad arrivare qui ed è una delle cause per le quali è aumentato il loro flusso, quello che potrebbe essere una parte della verità, ma non tutta.
La tesi del governo è che la migrazione attuale è obbligatoria perché le persone che decidono di abbandonare i loro paesi non lo fanno per piacere, bensì perché sono minime le possibilità di sopravvivenza per la fame, le malattie, la mancanza di opportunità, la miseria, la guerra e la violenza.
Di conseguenza, è più importante di concedere visti, di erigere muri confinanti o militarizzare estese aree, attaccare con programmi di sviluppo sostenibili economici e sociali, le cause che generano l’esodo, ma Messico è rimasto abbastanza solo in questa battaglia.
Nel frattempo, il governo federale, e specialmente le autorità locali, sopportano una pressione intensa, tanto alla frontiera meridionale -che è l’entrata della migrazione – che al nord, che è teoricamente l’uscita.
Tuttavia, in realtà il nord non è l’uscita, perché gli Stati Uniti espellono in territorio messicano quelli che riescono ad entrare negli USA, affinché aspettino i risultati della loro gestione del visto, fatto che può tardare fino a più di un anno.
Messico, inoltre, ha un problema addizionale ed è che la maggioranza degli emigranti respinge le sue offerte di lavoro nel sud, dove si concentrano grandi ed importanti piani di sviluppo del governo come i treni “Maya” e “Transistmico” ed il rimboschimento di vaste aree che richiedono milioni di salariati.
Gli emigranti preferiscono Città del Messico -dove non c’è spazio oramai per nessuno, già che è la capitale più popolata del mondo – o il nord dove, oltre ad essere più vicino al “sogno americano”, i salari sono più alti.
Luis Manuel Arce Isaac, corrispondente di Prensa Latina in Messico