Quando si realizzano sei giorni di mobilitazioni, varie città di questo paese sud-americano vivono momenti di tensione perché il popolo sta esigendo la fine delle riforme tributarie e lavorative considerate neoliberali, mentre il governo insiste in che non farà retromarcia nelle disposizioni.
A Quito, davanti alla minaccia di centinaia di manifestanti e l’arrivo di rappresentanti dei popoli e delle nazionalità indigene, per sommarsi allo sciopero, è stato evacuato il Palazzo di Carondelet, sede della presidenza della repubblica, che rimane sotto forte custodia delle forze armate. Allo stesso tempo, il dignitario, Lenin Moreno, ha deciso di trasferire la sede del governo a Guayaquil, dove anche ci sono manifestazioni dal 3 ottobre scorso, quando è entrata in vigore, per decreto, l’eliminazione del sussidio alla benzina super ed al diesel, una delle misure più rifiutate dalla popolazione.
In mezzo ad uno Stato di Eccezione Nazionale, dichiarato dal mandatario per 60 giorni e limitato a 30 per la Corte Costituzionale, i manifestanti insistono nel rimanere sulle strade fino alla deroga della disposizione di liberare i prezzi dei combustibili che ha già provocato rialzi nelle tariffe del trasporto pubblico e negli alimenti di base.
Le proteste sono state marcate dalla repressione della polizia, denunciata nelle reti sociali dalle organizzazioni e dalle persone vicine alle vittime.
Sulla situazione regnante, il presidente ha segnalato in catena nazionale, ieri, che quanto accaduto nella nazione è il risultato di un’intenzione politica per destabilizzare al governo.
Da parte sua, dirigenti sociali indicano che i sollevamenti rispondono al rifiuto del “paquetazo” imposto, per seguire le ricette abituali utilizzate dal Fondo Monetario Internazionale, col quale il governo questo anno ha negoziato un prestito di più di 4000 milioni di dollari.
La situazione tesa ha colpito settori come il turismo, l’educazione con la sospensione delle classi da giovedì scorso, la produzione petrolifera ed in maniera generale l’economia, già risentita, per l’instabilità nel funzionamento dei negozi.
In questo contesto, le autorità hanno reso noto che ci sono più di 400 detenuti, ma non si sono pubblicate le cifre ufficiali dei feriti o dei deceduti per le proteste.
In contrasto, nelle reti sociali circolano video dove si mostrano incidenti tra manifestanti e forze dell’ordine, con il saldo di civili morti.
Le sei giornate di mobilitazioni sono il preambolo di un grande sciopero nazionale convocato per domani.
Quelli che partecipano, assicurano che fanno esercizio del loro legittimo diritto alla manifestazione e segnalano che le azioni sono anche per chiedere all’amministrazione nazionale, politiche a beneficio del popolo lavoratore e non a favore degli interessi della destra o di Washington.
Il panorama regnante in questo territorio andino ha svegliato la preoccupazione di alcune istituzioni del paese, come il Consiglio di Protezione dei Diritti di Quito, che ha respinto le aggressioni degli agenti della polizia durante le proteste.
Una posizione simile è stata adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che si è già pronunciata al riguardo.
“Le Nazioni Unite seguono da vicino queste proteste e ricordano quanto stabilito nelle legislazioni internazionali sull’uso proporzionale della forza”, ha affermato il portavoce del segretario generale dell’ONU, Stephane Dujarric.
Anteriormente, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha emesso una dichiarazione nella quale ricorda che l’uso della forza nella repressione dei manifestazioni è riservato solo in casi eccezionali.
Sinay Cespedes Moreno, corrispondente di Prensa Latina in Ecuador