In quella giornata, quest’anno si compiono 67 anni, con Fidel Castro al comando, fu attaccata la prima caserma militare che aveva la tirannia di Fulgencio Batista, che un anno prima aveva dato un golpe di Stato per perpetuare la corruzione ed altri problemi che laceravano la Repubblica.
Quei rivoluzionari, molti dei quali persero la vita in combattimento o sono stati assassinati, la storia li riconosce come la Generazione del Centenario, rivendicatrice del lascito dell’Apostolo cubano.
Gli attacchi alla Caserma Moncada, di Santiago di Cuba, ed alla caserma Carlos Manuel de Cespedes, a Bayamo, ambedue nell’oriente dell’isola, sono stati un fallimento militare, ma sono diventati il motore della Rivoluzione che sarebbe iniziata tre anni dopo nella Sierra Maestra, con la direzione di Fidel Castro.
Le ragioni dell’assalto alla Caserma Moncada sono descritte nell’allegato conosciuto come “La storia mi Assolverà” che è stata la difesa che l’avvocato Fidel Castro ha utilizzato nel giudizio al quale è stato sottomesso dalla dittatura.
Nel 1953 la popolazione cubana non arrivava ai 4400000 abitanti; più di un milione di questi erano analfabeti.
Ma come paradosso, c’erano all’epoca circa 9000 maestri disoccupati.
Le carenze imperavano nelle zone rurali, dove il 50% dei bambini in età scolastica non assisteva alla scuola.
Secondo i dati esposti dal leader rivoluzionario, 600000 dei suoi compatrioti erano senza impiego, mentre 500000 agricoltori lavoravano appena quattro mesi all’anno, durante la raccolta della canna da zucchero.
Erano i senza terra, mentre aziende degli Stati Uniti possedevano migliaia di ettari in un paese dove predominava il latifondo.
Nel suo allegato Fidel Castro ha fatto riferimento ai “100000 piccoli agricoltori che vivono e muoiono lavorando una terra che non è loro”.
E sentenziava: “In Oriente, che è la provincia più grande, le terre dell’United Fruit Company e la West Indies uniscono la costa nord con la costa sud”.
L’operaio agricolo cubano non disponeva, come dato medio, di 25 centesimi giornalieri per mangiare, vestirsi e comprare scarpe.
Il 60% di loro viveva in “bohíos” (capanne) con soffitto di palma e con il pavimento di terra, senza luce elettrica, senza bagno, né acqua corrente.
Il 44% di loro non ha potuto assistere ad una scuola.
La capitale, col 22% della popolazione disponeva del 65% dei medici ed il 62% dei letti d’ospedale, secondo un’inchiesta dell’epoca.
Aggiungeva che la mortalità infantile superava i 60 morti per ogni mille nati vivi, e la speranza di vita arrivava appena a 58 anni.
La maggiore delle Antille contava nel 1959 su 6000 medici; l’isola disponeva di tre università e nel corso 1959-1960 la matricola è arrivata a 2063 studenti e 203 professori.
Quando ha trionfato la Rivoluzione, il 1º gennaio 1959, il numero di professionisti arrivava a 25000.
Oggi la popolazione di Cuba è di poco più di 11 milioni di abitanti.
Il più recente Annuario Statistico indica che agli inizi del 2019 il paese disponeva di circa 95 mila medici (nove per ogni mille abitanti) e più di 85 mila esperti in infermeria.
La speranza di vita situa l’isola caraibica tra le prime del continente, con 78,6 anni.
L’isola è oggi piena di università (50), dove si studiano 113 specialità.
A tono con ciò il 50% dei cubani possiede un titolo di educazione superiore.
Più di 241 mila giovani riempiono le aule universitarie, senza contare quelli che frequentano corsi nelle Forze Armate Rivoluzionarie e nel Ministero dell’Interno.
L’educazione superiore conta con 53298 professori in tempo completo, ed un alto percento di loro sono master o dottori.
“La formazione di maestri è una priorità del ministero, ed abbiamo 27 scuole pedagogiche con 26 mila studianti”, ha detto recentemente il titolare di Educazione, Ena Elsa Velazquez.
Sono appena alcune statistiche che rendono conto delle ragioni che hanno avuto la Generazione del Centenario che, armi in mano, ha cercato di dare un rovesciamento alla storia e fare giustizia alla patria repubblicana, quella che ha sognato e per la quale ha offerto la sua vita Josè Martì.
Orlando Oramas Leon, giornalista di Prensa Latina