Probabilmente il suo caso sia ignorato per milioni di persone nella nazione settentrionale, ma sono numerose le voci che hanno esatto la liberazione di un uomo che nel febbraio prossimo compierà 45 anni dietro le sbarre per un crimine del quale si è dichiarato sempre innocente.
Oltre le sue stesse dichiarazioni sui fatti, sono molte le persone che dentro e fuori dagli Stati Uniti -inclusi leader mondiali, vincitori di premi Nobel, politici ed attivisti – considerano che Peltier è stato ingiustamente condannato per l’assassinio, il 26 giugno 1975, degli agenti dell’Ufficio Federale di Investigazioni (FBI), Jack Coler e Ronald Williams.
Inoltre, le conosciute irregolarità che hanno segnato il processo giudiziale contro di lui, i legittimi reclami sui motivi delle autorità statunitensi per farlo prigioniero ed i molti anni che ha passato dietro le sbarre sono visti come motivi più che sufficienti per liberarlo.
Tuttavia, lui continua in una prigione di massima sicurezza nello stato meridionale della Florida, dopo che gli ex presidenti William Clinton (1993-2001), George W. Bush (2001-2009) e Barack Obama (2009-2017) gli hanno negato le richieste di grazia.
Per molte delle persone che hanno esatto la sua scarcerazione, Peltier costituisce il riflesso di una storia di ingiustizia ed abuso contro i popoli indigeni statunitensi.
Nato il 12 settembre 1944, ha vissuto durante vari anni nella Riserva Turtle Mountain, nel Dakota del Nord, dove, come riferiscono diverse fonti, cominciò a sviluppare il suo attivismo, dopo sperimentare la politica che cercava assimilare i nativi americani nella società statunitense e permetteva al governo federale di impadronirsi delle terre tribali.
Alla fine degli anni sessanta e principi degli anni settanta, Peltier cominciò a partecipare al Movimento Indigeno Statunitense (AIM, per le sue sigle in inglese), un’organizzazione militante di diritti civili.
Così, ha partecipato a numerose proteste, compresa l’occupazione dell’Ufficio dei Temi Indigeni a Washington D.C., nel 1972; ed a metà della decade del 1970, lui ed altri membri dell’AIM erano nella riserva indigena Pine Ridge, nel Dakota del Sud, per aiutare nell’organizzazione della sicurezza del luogo.
Ciò è accaduto durante “il Regno del terrore”, un periodo durante il quale decine di persone indigene sono state assassinate e centinaia sono state aggredite da una milizia privata pagata dal presidente di Oglala Lakota Sioux, Dick Wilson, un uomo corrotto, che aveva l’appoggio dell’FBI e del suo programma di contro-intelligenza, e che è stato accusato più volte di deviazione di fondi della riserva.
È stato in questo contesto, descritto da alcuni articoli come una guerra dell’FBI contro l’AIM ed i nativi americani, quando sono successi i fatti che hanno portato alla carcerazione di Peltier e la sua posteriore condanna a due ergastoli.
Secondo la versione dell’agenzia federale, Williams e Coler, gli agenti che sono stati uccisi, sono arrivati a Pine Ridge per arrestare un uomo per un delitto di furto, e quando sono arrivati alla riserva si sono incontrati con un veicolo nel quale c’era Peltier ed hanno incominciato a ricevere degli spari.
Il prigioniero, invece, sostiene che dopo che questi due agenti e molti altri membri dell’FBI sono arrivati alla proprietà privata, ha sentito delle sparatorie, perciò ha afferrato la sua carabina ed ha sparato in direzione di quelli che solo dopo ha scoperto fossero agenti federali.
“Io ero a Pine Ridge quel giorno, scambiai colpi di fucile con le autorità che stavano sparandoci, ma non ho ucciso quegli agenti”, ha dichiarato Peltier in un’intervista col quotidiano New York Daily News nel 2016.
Lui è stato accusato delle due morti insieme ad altri due nativi americani, ma solo Peltier, che da tempo era nel radar dell’FBI, è stato dichiarato colpevole in un giudizio pieno di irregolarità, soprattutto le dichiarazioni di testimoni ricattati dall’agenzia federale.
Da allora, Peltier è rimasto dietro le sbarre ed, a 76 anni, con una salute sempre di più deteriorata, dovrà aspettare il 2024 per potere sollecitare la libertà condizionale.
Il suo caso continua ad essere per molti un simbolo internazionale degli abusi verso i nativi americani da parte del sistema di giustizia criminale degli Stati Uniti, ancora di più dopo che col trascorrere degli anni ci sono state rivelazioni sulla forma in cui le autorità hanno occultato informazioni ed hanno manipolato i fatti.
I dettagli di quanto successo sono rimasti raccolti in un documentario del 1992 intitolato “Incident at Oglala”, diretto da Michael Apted e narrato dall’attore Robert Redford.
Martha Andres Roman, giornalista di Prensa Latina