Lo scorso 5 ottobre è stato quando il quotidiano The New York Times ha messo in luce una serie di accuse contro il magnate dell’industria del cinema, tra queste che dalla metà della decade degli anni 90 fino al 2015 è arrivato ad accordi extragiudiziali con le sue vittime di persecuzioni ed abusi.
Man mano che le condanne, le segnalazioni e le critiche contro Weinstein crebbero, il tema cominciò a colpire altre figure del mondo dello spettacolo, i mass media, ed i politici del Campidoglio e degli stati.
Le figure di alto profilo che hanno ricevuto imputazioni di questo tipo vanno dal multi-premiato attore Kevin Spacey fino all’ex presidente George H. W. Bush (1989-1993), il senatore democratico Al Franken ed il rappresentante John Conyers, sempre del partito azzurro.
Ma inoltre esiste il risuonato caso di Harvey, che ha ricevuto accuse da decine di donne, e sicuramente l’altro evento più mediatico sul tema, per il suo possibile impatto politico, cioè quello relazionato col candidato repubblicano al Senato per l’Alabama, Roy Moore.
A sole due settimane dal 12 dicembre, quando lo stato meridionale celebrerà i suffragi per scegliere la persona che occuperà il seggio vacante da quando Jeff Sessions si trasformò in procuratore generale, l’aspirante del partito rosso appare frequentemente nella stampa, ma non tanto per la sua agenda come per gli scandali sessuali.
Fino al momento nove donne dicono che sono state molestate o ebbero incontri sessuali con lui, alcune di loro quando erano minori di età e l’ex giudice aveva già trentanni.
Molti membri del Partito Repubblicano, tra questi il leader della maggioranza nella Camera Alta, Mitch McConnell, hanno abbandonato Moore e stanno pensando perfino sulla possibilità di cambiarlo con un altro candidato.
Tuttavia, altri, come il presidente Donald Trump, continuano ad appoggiarlo, e benché il mandatario non abbia recentemente consigliato di votare per lui, si è dedicato negli ultimi giorni a lanciare forti critiche contro il suo rivale, il democratico Doug Jones.
Il capo della Casa Bianca è perfino arrivato a richiamare l’attenzione sul fatto che il repubblicano dell’Alabama ha negato tutte le accuse contro di lui. “Lui afferma che non è accaduto nulla. E guarda, che bisogna ascoltare anche la sua versione”, ha insistito Trump la settimana scorsa.
Ma i casi di Moore o Weinstein hanno messo in luce un fenomeno che, per diverse fonti, è troppo esteso ed abbraccia praticamente tutti gli spazi della società, con vittime che non arriveranno mai alla stampa perché i loro persecutori non sono figure pubbliche.
D’accordo con un lavoro pubblicato dal The Washington Post, le donne che lavorano in ristoranti e negozi di abbigliamento tendono ad imbattersi con più comportamenti di stalking che in altre professioni.
Dati della Commissione per l’Uguaglianza delle Opportunità nell’Impiego, che abbracciano dal 20005 fino al 2015, hanno denunciato che circa una quarta parte delle denunce di stalking sessuale provenivano dal settore dei servizi, dominato dai lavoratori con poca rimunerazione, in maggioranza donne.
In quel periodo l’entità ha ricevuto 85 mila denunce di stalking sessuale, ma tale cifra non offre una visione integrale del fenomeno nel paese, perché l’agenzia stima che solo dal 6 al 13% delle vittime presentano una denuncia formale.
Fatima Goss Graves, presidentessa del Centro Nazionale delle Leggi della Donna, ha detto al Post che nonostante l’attenzione prestata recentemente alle celebrità, lo stalking sessuale succede quando “una persona non è famosa e non c’è nessun famoso che si vergogni”.
“È più diffuso nelle industrie che dipendono dal servizio al cliente, dove i capi hanno incorporato al loro modello di fare affari l’idea che la gente deve piacere o, in alcuni casi, sopportare lo stalking”, ha aggiunto l’esperta.
Due terzi degli statunitensi credono che si tratti di un problema generalizzato, secondo un’inchiesta realizzata il mese scorso da NBC e The Wall Street Journal, ma non coincidono sempre sul punto dove sta la linea che definisce lo stalking.
A ciò si unisce il fatto che, secondo un sondaggio del Centro Nazionale di Risorse contro la Violenza Sessuale, gli uomini sono meno propensi ad identificare atti di stalking sessuale e persecuzione verbale che le donne.
La campagna #Metoo (Anche io), originata una decade fa e che riscosse forza nelle ultime settimane nelle reti sociali, è stata una piattaforma affinché milioni di donne ed uomini attorno al mondo condividano le loro proprie storie di persecuzione o le loro impressioni su questo fenomeno.
La sfida, per molti, è mantenere il tema al centro dell’attenzione, e che gli scandali non rimangano solo nel piano dei titolari sensazionalisti, ma diano luogo a politiche pubbliche e pratiche sociali che rendono sempre meno frequente ed accettato questo problema.
Martha Andres Roman, corrispondente di Prensa Latina negli USA